Analisi di scenario: USA e mercati asiatici emergenti
Prima di tornare ad occuparci dei fondamentali dell’economia, proviamo ad utilizzare quanto visto fino a questo punto della nostra mini-serie per fare un po’ di sana analisi di scenario, anche per vedere come i concetti che abbiamo incontrato possano avere un importante ed effettivo riscontro pratico per una lettura “ragionata” della realtà.
Nella definizione di un’efficace asset allocation strategica[1], un ruolo importante è rappresentato dalle previsioni sull’andamento futuro di grandezze quali la produzione, l’inflazione, i tassi di interesse, la disoccupazione e così via. Lo scenario che viene così prefigurato ci porterà a privilegiare, nelle scelte di investimento, alcune categorie di titoli o strumenti (le cosiddette asset class) rispetto ad altre e, in particolare, quelle che riteniamo suscettibili di aumentare di valore, in modo tale che il nostro portafoglio si apprezzi.
Proviamo allora a vedere cosa potrebbe succedere, a detta degli analisti, nei prossimi mesi e come converrebbe conseguentemente orientare i settori in cui impiegare il nostro risparmio.
Sulla scena mondiale si sono verificati recentemente due eventi rilevanti: la crisi nord-coreana e l’annuncio di imposizione di dazi doganali all’importazione di acciaio e alluminio da parte del Governo USA.
In entrambi i casi i mercati hanno inizialmente reagito in modo scomposto, entrando in una fase di forte volatilità e facendo temere il peggio.
I venti di guerra si sono poi, come prevedibile, sostanzialmente dissolti e si è avviato un percorso di cauto avvicinamento fra i paesi coinvolti, mentre i timori di una guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina sono tuttora diffusi e rischiano di mettere in discussione decenni di sviluppo commerciale.
Trump, sulla base del suo programma elettorale “America first”, ha voluto favorire – con l’imposizione dei dazi doganali – una importante componente del suo elettorato, l’industria manifatturiera su cui da tempo incombe la concorrenza asiatica. E infatti, dopo l’annuncio, i sondaggi hanno rilevato un notevole aumento della popolarità del Presidente soprattutto nel Midwest.
La reazione del gigante asiatico è stata mirata e chirurgica, annunciando a sua volta dazi doganali sui prodotti agricoli che andranno a penalizzare stati agricoli tutti “trumpiani” e dazi sulle auto e sugli aerei che colpiranno le realtà industriali che più minacciano l’espansione cinese nei settori di alta tecnologia delle auto elettriche e dell’industria aeronautica.
La sensazione è che Trump abbia segnato un successo tattico di breve periodo, più mediatico che effettivo, e soprattutto concentrato in alcuni settori, ma che a lungo andare sia la Cina ad avvantaggiarsi del conflitto, in modo più duraturo e generalizzato. E’ facile prevedere che la sfida sulla tecnologia a forte impatto industriale e militare, nonché tutta la partita sull’intelligenza artificiale, alla fine vedrà ancora affermarsi gli asiatici.
Non conviene sfidare i cinesi: mentre Trump ha da tenere a bada il composito fronte interno, pagando alcune cambiali a chi l’ha sostenuto in campagna elettorale ma danneggiando altri settori, gli asiatici possono contare su un solido consenso ed un sostegno compatto e generalizzato. Come spesso succede, chi inizia la guerra contando su una vittoria facile e veloce, molto spesso ne subisce gli effetti più negativi.
Tuttavia per gli americani il quadro globale rimane ben intonato, con una crescita che quest’anno sarà vicina al 3% e un’inflazione sopra il due e mezzo per cento: gli Stati Uniti sono dunque praticamente al livello di piena occupazione e la domanda resta sostenuta.
La politica fiscale ha d’altra parte ormai imboccato un deciso sentiero espansivo, come del resto era nei programmi Trump e, per evitare timori di surriscaldamento e inflazione eccessiva, è ragionevole attendersi che le autorità USA continueranno nella politica di restrizione monetaria già intrapresa.
I tassi quindi inevitabilmente saliranno, specie quelli a lunga scadenza e questo significa che i corsi dei titoli obbligazionari a lungo termine dovrebbero subire una flessione.
Una prima indicazione concreta sul portafoglio – in prima battuta per quanto riguarda il mercato USA - è quindi quella di preferire le azioni alle obbligazioni e, in quest’ultimo ambito, preferire il tasso variabile a quello fisso.
Per quanto riguarda i settori, quelli favoriti sono i finanziari, l’informatica (IT), l’energetico e le telecomunicazioni e buone prospettive vengono attribuite anche al comparto immobiliare.
Come abbiamo visto, le tensioni commerciali non avranno effetti significativi sui trend di sviluppo, salvo una più accentuata volatilità e instabilità soprattutto in USA.
Sui mercati asiatici e sugli emergenti non sono attesi effetti particolarmente negativi (la Cina crescerà intorno al 7% anche quest’anno) ed anzi ad avviso degli analisti la crescita dovrebbe mantenersi sostenuta: nei prossimi mesi questi mercati possono quindi rappresentare una buona destinazione alternativa agli investimenti finanziari, compresi gli impieghi in valuta locale. Anche qui, sempre meglio le azioni che il reddito fisso.
Oltre alla Cina, i paesi che vengono prospetticamente preferiti, sono Brasile e Russia, che sono in netta ripresa sulle recenti recessioni, oltre a Singapore e Regno Unito.
Nel prossimo articolo concluderemo questa sintetica analisi di scenario focalizzandoci sull’Europa e sulle indicazioni in merito alle diverse valute. Torneremo poi ad occuparci dei fondamentali dell’economia.
[1] Per asset allocation si intende è la distribuzione dei fondi disponibili fra le varie attività di investimento (asset class). Ogni portafoglio è una combinazione fra queste asset class. Ne abbiamo parlato a più riprese su questo blog, dedicandovi anche una specifica mini-serie
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