DA EUFORIA A DEPRESSIONE È UN ATTIMO

DA EUFORIA A DEPRESSIONE È UN ATTIMO

Mer, 03/19/2025 - 18:31
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Con l’avvento di Trump i mercati sono crollati e l’economia USA comincia ad essere in affanno

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I mercati finanziari e i cicli economici sono sempre stati caratterizzati da oscillazioni e volatilità: i prezzi delle attività finanziarie salgono e scendono, non sempre secondo una logica razionale e leggibile; anche l’attività economica è sempre stata caratterizzata da trend di espansione e contrazione. Ma il bipolarismo a cui assistiamo in questi tempi è un elemento, se non nuovo, certamente insolito con l’intensità di oggi. Da cosa dipende questa instabilità e cosa dobbiamo aspettarci per il futuro prossimo?

Naturalmente non esiste una sola causa, ma se dovessimo individuare l’evento più importante alla base dell’inversione di tendenza a cui stiamo assistendo, questo sarebbe sicuramente il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. A ben guardare, il suo programma elettorale conteneva in sé i germi del bipolarismo: da un lato deregulation, tagli di tasse, reindustrializzazione, sostegno alla produzione interna; dall’altro contrasto all’immigrazione, dazi doganali, autarchia. Nella prima fase, almeno fino all’esito delle elezioni, è prevalso il suo lato “luminoso”; successivamente, diciamo a partire dall’inizio dell’anno, ha preso invece la scena la pars destruens.

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Dopo una corsa forsennata, iniziata con la fine della pandemia, i mercati azionari – in primo luogo il più importante del mondo, quello statunitense – hanno raggiunto livelli record, con multipli molto elevati e continua prevalenza degli acquisti, trascinati dai titoli tecnologici e in particolare da quelli delle big 7, i colossi del Nasdaq: Apple, Amazon, Alphabet (Google), Meta (Facebook), Microsoft, Nvidia, Tesla. Dopo le prime due settimane di marzo, gli indici di borsa avevano già bruciato tutto l’incremento dell’anno precedente; dall’inizio del 2025 l’indice Standard&Poor ha perso il 10%, il Nasdaq il 15%; il dollaro si è svalutato del 4% e le criptovalute hanno ceduto circa il 30%. Tesla, per dire, ha quasi dimezzato il suo valore da metà dicembre a oggi.

Nello stesso periodo, l’economia ha rallentato il passo in termini di PIL e ha visto l’inflazione rialzare la testa, avvicinandosi al 3%, dopo che era stato quasi raggiunto l’obiettivo del 2% della banca centrale USA. Questo ha rimesso in discussione il programma di riduzione dei tassi che tutti davano ormai per scontato, innescando un circolo vizioso di aspettative deluse, vendite, ulteriori cali.

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Secondo la American Association of Individual Investors[1], il 68% della ricchezza delle famiglie Usa è investita in azioni: il 30% direttamente e il 38% indirettamente attraverso fondi e fondi pensione. Da gennaio a febbraio, la quota investita in azioni si è sensibilmente ridimensionata (in parte anche per effetto della diminuzione dei valori degli asset), mentre quella detenuta in strumenti di liquidità si è accresciuta, più o meno costante è rimasta invece la componente obbligazionaria.

È evidente che, in seguito ai consistenti crolli di borsa dell’ultimo mese, la ricchezza delle famiglie si è drasticamente ridotta, con effetti depressivi sui consumi e sulla spesa. Il sentiment degli investitori – ovvero la loro percezione sulla tendenza del mercato – ha cominciato a deprimersi e le vendite hanno nettamente preso il sopravvento. Sullo sfondo, la situazione geopolitica che non offre certo motivi di ottimismo, e l’affermarsi della consapevolezza che il “lato oscuro” del trumpismo, ovvero la politica dei dazi doganali, assesterà ulteriori colpi allo sviluppo dei commerci e della produzione mondiale.

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C’è da dire che fino ad ora i dazi sono stati più minacciati che applicati effettivamente e la speranza è che vengano utilizzati come tattica negoziale e strumento di pressione. Mentre fino a pochi mesi fa erano le dichiarazioni di esponenti della FED (in particolare per quanto riguardava le variazioni dei tassi di interesse) oppure i dati dell’economia reale che muovevano i mercati, oggi sono i post del Presidente USA a creare o frenare le aspettative degli investitori. E questo non fa che aumentare l’instabilità dei mercati.

Le recenti dichiarazioni del Presidente hanno ulteriormente spinto la tendenza negativa: sia quella sulla presa d’atto del rallentamento produttivo, sia quella sulla debolezza del dollaro, che il tycoon non intende contrastare e che anzi considera positiva in quanto suscettibile di favorire le esportazioni americane. D’altra parte, l’indebolimento della valuta USA è però un forte stimolo all’ulteriore crescita dell’inflazione interna, già sostenuta dall’introduzione dei dazi.

Sembra però che alla base dell’attuale trend negativo non ci sia tanto un reale e strutturale deterioramento dei fondamentali economici, quanto l’effetto delle aspettative. È vero che le stime di crescita della produzione per il 2025 sono passate (fonte Goldman Sachs) dal 2,4% di inizio d’anno all’attuale 1,7%, e che la disoccupazione è salita al 4%, ma non si tratta (almeno per ora) di crisi recessiva conclamata. E d’altra parte, i mercati azionari avevano corso già tanto nei mesi scorsi, e molti considerano la correzione tutto sommato salutare. Anzi, il ridimensionamento dei prezzi potrebbe presentare ora buone occasioni di acquisto da parte degli investitori.

Come avrebbe detto Ennio Flaiano, “la situazione è grave ma non è seria”, e certamente la serietà non una delle doti principali di Donald Trump.

 

[1]  La AAII (The American Association of Individual Investors, Associazione Americana degli Investitori Individuali) è un ente non profit costituito nel 1978 per formare ed assistere gli individui nella gestione dei propri patrimoni (cfr  https://www.aaii.com/about )