TRA I FRANCESI CHE SI INQUIETANO (CON DUE ZETA)

TRA I FRANCESI CHE SI INQUIETANO (CON DUE ZETA)

Mer, 06/26/2024 - 21:03
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I francesi di nuovo alle urne, ma questa volta sarà diverso

.elezioni in Francia

Li chiamiamo cugini, e fra buoni “parenti serpenti” una certa diffidenza e antipatia è inevitabile, come aveva acutamente cantato Paolo Conte nella sua bella canzone “Bartali” del 1979: “…tra i francesi che si incazzano…e le palle ancora gli girano”. Il senso era naturalmente quello di sorridere dell’invidia dei transalpini per i nostri successi, in quel momento rappresentati da Gino Bartali.

Non è che oggi possiamo vantare chissà quali superiorità rispetto ai nostri vicini, ma la stabilità politica è sicuramente qualcosa che in questo momento in Italia c’è e in Francia no, dopo l’esito delle recenti votazioni per il Parlamento Europeo. Tale esito è stato decisamente favorevole per la maggioranza italiana guidata da Giorgia Meloni e molto deludente per la formazione del Presidente francese Emmanuel Macron, che ha visto una forte affermazione del Rassemblement National (RN) di Marin Le Pen e una netta debacle del partito del Presidente.

La parabola del consenso per l’enfant prodige è da tempo in netta fase calante, almeno dalla forte protesta dei “gilet gialli” e dalla contestata riforma del sistema pensionistico. Riforma che, sotto elezioni, Macron ha in qualche modo cercato di edulcorare o promesso di rivedere, ma che dovrà essere mantenuta per tenere i conti sotto controllo, poiché la Francia in questo momento ha un’incidenza del debito pubblico sul PIL superiore a quella dell’Italia.

.francesina

La popolarità del Presidente, in questi mesi, è inoltre stata messa in discussione da una serie di eventi che vanno dagli attentati di matrice islamista alle proteste dei giovani contro la “mano forte” della polizia, fino allo scetticismo diffuso per la posizione rigida assunta contro la Russia, tanto da paventare l’apertura di un vero e proprio fronte di guerra.

Il risultato è stata una netta débacle del partito macronista alle elezioni del Parlamento europeo: Renaissance si è fermata al 14%, mentre il Rassemblement Nationale di Marine Le Pen ha ottenuto un eclatante 31%.

Prendendo il toro per le corna, a urne ancora calde, Macron ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni legislative. Un azzardo evidente, ma tutto sommato un rischio calcolato. A prima vista le probabilità di un esito negativo per Macron sembrano molto superiori a quelle di un suo successo: a neanche un mese di distanza dal voto, contare su un cambio di opinione radicale dell’elettorato pare davvero una scommessa avventata in assenza di eventi nuovi decisivi.

La scelta di Macron, del tipo “o la va o la spacca” ricorda molto da vicino quella di David Cameron quando, nel 2016, indisse il referendum sulla Brexit, puntando tutto su “stay” o quella di Matteo Renzi quando, sempre nello stesso anno, promosse il referendum sull’assetto costituzionale. In entrambi i casi, puntando tutto, sull’esito a loro favorevole, i due leader incassarono invece sonore sconfitte e furono costretti alle dimissioni.

.arc de triomphe

Il rischio che anche Macron faccia la stessa fine è reale, ma la situazione francese è nettamente diversa da quelle inglese e italiana del 2016. Vediamo perché, e soprattutto cerchiamo di capire quali sono i motivi che hanno portato il presidente a sciogliere il parlamento, quali i probabili esiti e quali conseguenze questa ha comportato e comporterà.

Macron, oltre alla decisione assunta in tutta fretta, aveva due altre opzioni: la prima era quella di non fare assolutamente niente e rinviare lo scontro al 2027, quando scadrà il suo mandato; la seconda quella di dimettersi e indire nuove elezioni presidenziali.

Nel primo caso avrebbe dovuto gestire una delegittimazione se non formale quanto meno sostanziale e il declino dei suoi consensi sarebbe progressivamente continuato, in una fase resa molto difficile dalla situazione geopolitica e dalla necessità di riportare i conti pubblici sotto controllo. Di fatto, una cottura a fuoco lento che avrebbe dato modo alla destra di crescere ancora, contando sul diffuso malcontento.

Nel secondo caso, avrebbe rischiato di consegnare il paese alla Le Pen e di perdere forse definitivamente il potere.

.france

Con lo scioglimento del Parlamento, invece, rischia al massimo la coabitazione con un governo ostile fino al 2027, mantenendo comunque una serie di poteri rilevanti (quello di promulgare le leggi o di esercitare – con le previste limitazioni - un diritto di veto sulle stesse). In tal caso consegnerebbe le patate bollenti nelle mani del giovane Jordan Bardella, il delfino che Marine Le Pen ha indicato come futuro premier, e avrebbe il tempo di riorganizzare le fila per lo scontro elettorale.

Ma non è detto, anzi in verità è molto improbabile, che le elezioni del 30 giugno assegnino al RN la maggioranza assoluta per poter governare da solo senza coalizioni. Intanto perché il sistema elettorale, con doppio turno e ballottaggio, è molto diverso da quello proporzionale puro con il quale si è votato per le europee, e non è detto che la ripartizione finale dei seggi rifletta il 31% ottenuto dal RN. Ma soprattutto perché non è così sicuro che, di fronte alla prospettiva di una decisa virata a destra del paese, non possa formarsi un fronte di centro sinistra che coalizzi tutte le formazioni che si oppongono alla Le Pen, soprattutto nella fase dei ballottaggi.

È comunque evidente che un’altra eventuale sonora sconfitta del partito di governo provocherà contraccolpi sia a livello di equilibri dell’UE – dove Macron ha comunque perso smalto e autorevolezza - sia sui mercati finanziari, che hanno già dimostrato di non gradire l’affermazione delle destre in Francia con un brusco crollo delle quotazioni all’indomani dei risultati.

Insomma, il nostro governo non è certo come Bartali sulle piste di ciclismo, ma un po’ di invidia nei nostri confronti in questo momento ci sta, con conseguente giramento di palle, come cantava Paolo Conte qualche decennio fa.