COSA FARANNO UN MILIARDO DI PERSONE IN PIU’?
Siamo pronti per un futuro senza lavoro? (parte I)
Intervista a Domenico De Masi (*)
A cura di Marco Parlangeli
La mini-serie sul lavoro prosegue questa settimana con l’intervista a uno dei più celebri "maitres à penser" in materia di sociologia del lavoro.
Estremamente attento al progresso tecnologico e all’influenza che nel tempo ha avuto sul modo di lavorare dell’uomo, De Masi ha spesso assunto posizioni insolite, al limite della provocazione intellettuale, fra le quali quella presentata nell’ultimo saggio “Lavorare gratis lavorare tutti” (Rizzoli, 2017).
Nell’intervista che segue, abbiamo ripercorso a volo d’uccello le vicende dell’attività lavorativa dell’uomo nel corso della storia, esaminandone i riflessi sulla qualità della vita e cercando di capire dove stiamo andando.
Un regalo imperdibile per i lettori del blog, che ci accompagnerà per tre settimane durante questo mese di settembre. Le foto che corredano gli articoli sono di Ravello, incantevole località che domina la Costiera Amalfitana a cui De Masi è legato soprattutto per l’esaltante esperienza del Festiva, essendo stato Presidente della Fondazione di Ravello, organizzatrice, negli anni d’oro.
Buona lettura, dunque.
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In questa mini-serie abbiamo richiesto una serie di contributi esterni per affrontare i diversi aspetti del lavoro al tempo di Internet. In due parole, secondo te oggi si lavora di più o di meno rispetto alle altre epoche che abbiamo conosciuto, quella industriale e quella post-industriale? E si lavora meglio o peggio?
La cosa migliore è servirsi dei dati statistici.
1891: un anno importante perché viene emanata la Rerum novarum, prima enciclica sociale della Chiesa, 8 anni dopo la morte di Marx. Gli Italiani sono 30 milioni, e a causa degli orari di lavoro, che erano 10 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, hanno lavorato 70 miliardi di ore.
Passano 100 anni, siamo al 1991. Siamo diventati 50 milioni, abbiamo lavorato 60 miliardi di ore: 10 miliardi di ore in meno, e abbiamo prodotto 13 volte di più.
Arriviamo al 2017. Siamo 60,5 milioni. Abbiamo lavorato
40 miliardi di ore, 30 in meno del 1891, e abbiamo prodotto 670 miliardi in più del 1891.
Gli esseri umani stanno imparando a produrre sempre più beni e servizi facendo ricorso a quantità sempre minori di lavoro umano.
Questo da un punto di vista macroeconomico, della Società. Ma dal punto di vista del lavoratore, visto che si lavora meno, possiamo dire che si lavora meglio? Certo che si produce di più, e questo va a vantaggio di chi il lavoro lo paga, ma dal punto di vista di chi lavora, della qualità del lavoro, si può dire che si lavora meglio?
Siccome occorre sempre meno lavoro, e quelli che vogliono lavorare sono sempre di più perché siamo più numerosi, è indispensabile prepararsi: nel 2030 saremo un miliardo in più, quindi bisogna preparare un miliardo di posti di lavoro in più rispetto ad oggi. Lavorano anche le donne (che prima non lavoravano), lavorano anche gli handicappati (che prima non lavoravano), le gravidanze sono meno numerose (meno permessi di maternità), ci si ammala molto meno (meno assenze per malattia): tutto questo comporta molto meno lavoro e molta più gente che vuole lavorare.
Di fronte a questa situazione, dal punto di vista sociologico, hai due modi reagire, idealmente contrapposti, la Germania e l’Italia. La Germania, mano a mano che vengono introdotte nuove tecnologie, ha ridotto l’orario di lavoro e si è accorta, riducendo l’orario di lavoro, che aumentava la produttività. L’Italia invece ha conservato dal 1923 40 ore di lavoro settimanali. Oggi la Germania ha in media 1400 ore di lavoro all’anno a testa con una produttività 20 volte superiore a quella italiana. L’Italia presenta invece 1800 ore all’anno (400 ore di lavoro all’anno in più pro capite). Se hai una torta e fai porzioni più grosse (400 ore in più), devi fare naturalmente meno porzioni.
La Germania ha un’occupazione del 79%, noi del 58%. Produciamo il 20% in meno e paghiamo il 20% in meno il lavoratore.
Il lavoratore italiano lavora di più, produce di meno e guadagna di meno. Sta meglio o peggio? Sta peggio, ovviamente. Non si è seguito il trend della tecnologia e della globalizzazione, si è fatto finta che la tecnologia non esistesse. Se abbiamo 100 persone in questa banca, introduciamo un computer che fa il lavoro di 10 persone, in Germania riducono a tutti l’orario del 10% e mantengono tutti occupati aumentando la produttività, in Italia licenziano 10 persone e ne tengono 90, mantenendo bassa la produttività e lavorando un numero maggiore di ore a testa.
Da qui a lavorare gratis lavorare tutti, che è la “provocazione” del tuo libro, ce ne corre…
In quel libro mi sono posto la domanda: come si fa a ridurre l’orario di lavoro come in Germania? Dal 1° gennaio prossimo i metallurgici faranno 28 ore settimanali, contro le nostre 40. E in più si fanno 28 ore, in caso di bisogno, per assistenza familiare o per condividere i lavori domestici. Se pensi che i metallurgici sono quasi tutti maschi, questa è stata una legge di un’intelligenza straordinaria, perché induce anche i maschi a interessarsi delle attività familiari. Due vantaggi: riduci l’orario e aumenti l’occupazione e induci i maschi a interessarsi delle attività familiari.
Il problema in Italia è quindi come ridurre l’orario di lavoro. Chi è che non vuole ridurre l’orario di lavoro in Italia? Il lavoratore occupato. Il padre che lavora 10 ore di lavoro preferisce lui lavorare 10 ore al giorno e avere il figlio disoccupato, anziché lavorare 5 ore ciascuno. Il problema è quindi: come convincere i lavoratori occupati, o meglio i loro sindacati, a ridurre l’orario di lavoro.
Quando un lavoratore occupato vuole protestare, cosa fa? Sciopera, ovvero interrompe il lavoro. Se un disoccupato vuole protestare, cosa può fare? L’opposto, ovvero lavorare. Gratis, per interrompere la logica del lavoro. Per dimostrare agli occupati che bisogna ridurre l’orario di lavoro, altrimenti energie enormi restano inespresse.
Il problema enorme è la distribuzione della ricchezza, il suo addensamento. In Italia nel 2007, all’inizio della crisi, 10 famiglie avevano la ricchezza di 3 milioni di poveri; oggi, dopo 10 anni, di 6 milioni, ovvero è raddoppiata la loro ricchezza.
In questo senso la provocazione del mio libro.
Primo di tre articoli (il prossimo uscirà martedì 18/9/2018)
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DOMENICO DE MASI, Nato in Molise nel 1939, cresciuto in Campania e in Umbria, è oggi probabilmente il più autorevole sociologo italiano, soprattutto nel campo del lavoro. Professore emerito di Sociologia del lavoro presso l'Università “La Sapienza” di Roma, dove è stato preside della facoltà di Scienze della comunicazione, De Masi è autore di numerose pubblicazioni di successo e immancabile ospite di trasmissioni televisive e giornali quando si parla di lavoro.
Fra i suoi saggi più noti, “L’ozio creativo” del 2000 nel quale teorizza la valorizzazione del tempo “liberato” dal lavoro come ritorno a un’organizzazione di vita in cui, grazie al progresso, l’uomo può dedicarsi a coltivare arte, cultura, affetti e conoscenze.
Nella biografia pubblicata sul suo sito www.domenicodemasi.it si legge che:
si è dedicato prevalentemente allo studio e all’insegnamento.
Ha viaggiato molto ma i centri principali del suo lavoro sono stati
Milano, Sassari, Napoli e Roma.
In Brasile – dove ha la cittadinanza onoraria di Rio de Janeiro –
ha tenuto conferenze in quasi tutte le grandi città.
La sua biografia è suddivisa in paragrafi corrispondenti ai vari segmenti di vita: la famiglia e gli studi; i campi di attività; il periodo napoletano, milanese e romano; l’insegnamento a Sassari, Napoli e Roma; la scuola e poi la società S3.Studium; gli altri impegni professionali e civili; i viaggi in Brasile e in molti altri paesi del mondo; i riconoscimenti ricevuti.
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