OSTAGGI DELLE CORPORAZIONI
L’Italia dei privilegi
Quasi come ai tempi del medioevo, il nostro Paese spesso si trova ostaggio delle corporazioni, che riescono ancora ad esercitare un potere molto invasivo. Non come i camionisti nel Cile di Allende, che ebbero la forza di innescare un colpo di stato (e aprire così la strada a una delle dittature più feroci del secolo scorso), ma certo anche oggi i gruppi di interesse riescono a tenere sotto scacco parti importanti della società civile e della comunità economica.
Nel medioevo le “corporazioni di arti e mestieri” avevano la funzione di veri e propri partiti: pur in assenza di meccanismi elettorali (che oggi proprio attraverso i partiti sono gestiti e organizzati), avevano tuttavia la capacità – grazie al loro potere economico – di orientare la vita politica di comuni e città.
Anche oggi negli Stati Uniti, esistono le lobby che, in modo più o meno formalizzato, rappresentano e tutelano interessi di gruppi economici circoscritti (come i petrolieri, i produttori di armi o di tabacco, le aziende farmaceutiche e così via). Con le loro disponibilità economiche, in genere notevoli, hanno la capacità di influenzare l’approvazione o il blocco di progetti di legge che li riguardano o le nomine per particolari cariche; influiscono anche sulle vicende elettorali, sostenendo con le loro elargizioni i candidati che considerano più vicini o più sensibili alle loro istanze.
L’attività delle lobby in USA è ampiamente consolidata e anche formalizzata: i contributi elettorali devono essere resi pubblici, e questo in ossequio alla trasparenza, in modo che gli elettori sappiano quali gruppi di interessi sostengono i diversi candidati e, conseguentemente, cosa ci si può aspettare da loro una volta eletti. Esistono dei professionisti, i cosiddetti lobbisti, che sono accreditati in Parlamento e nelle diverse sedi politiche e che – teoricamente alla luce del sole – svolgono la loro attività a vantaggio dei gruppi e delle aziende che li pagano.
Da noi la figura del lobbista non esiste, la sollecitazione ai politici avviene in genere sottotraccia, alimentando così il sospetto di tangenti e concussione. Con la legge sul finanziamento pubblico ai partiti, questa anomalia avrebbe dovuto correggersi nel senso che i contributi ai partiti dovrebbero essere dichiarati e pubblici. Questo almeno - ad esempio nel recente caso delle indagini nella Regione Liguria, su cui torniamo in seguito, dove sembrerebbe che le elargizioni fossero state effettivamente dichiarate - dovrebbe fornire una prima chiave di lettura in merito alla legalità dei diversi protagonisti.
Ma senza andare sui massimi sistemi, da noi esistono forti e concentrati “poteri di interdizione” in capo a corporazioni che riescono a tenere sotto scacco il paese, pur rappresentando gruppi non così numerosi da poter spostare importanti pacchetti di voti o non disponendo di risorse particolarmente ingenti, e comunque non dichiarate, da elargire ai politici.
In genere esse traggono forza dal loro ruolo strategico nella filiera produttiva e commerciale, nel senso che sono in grado di bloccare interi settori di attività e in taluni casi addirittura il sistema paese. Pensiamo alla protesta dei TIR di qualche anno fa: poiché la grande maggioranza di merci viaggia nel nostro paese su strada, una serrata degli autotrasportatori sufficientemente prolungata è in grado di mettere in ginocchio praticamente tutto il paese, provocando carenza di merci di ogni tipo.
Altro esempio di diversi anni fa è la protesta dei controllori di volo che in pochi giorni riuscì a paralizzare tutto il traffico aereo del paese (utilizzando lo sciopero di un numero esiguo di lavoratori, che avevano però funzioni strategiche), tanto da provocare l’intervento irrituale, e certo anomalo, dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Gli esempi più recenti del grande potere delle corporazioni sono quelli della protesta degli agricoltori, avvenuta lo scorso gennaio (un periodo in cui in campagna tradizionalmente non c’è lavoro) con i blocchi stradali e autostradali; oppure la posizione dei tassisti che riescono a paralizzare il traffico di intere città.
In questi casi è veramente difficile comprendere e giustificare il forte potere di interdizione che questi gruppi esercitano, impedendo che il sistema normativo venga adeguato e improntato a criteri di concorrenza, come potrebbe essere ad esempio l’aumento del numero delle licenze per taxi nelle grandi città. Questo porterebbe a più macchine disponibili per i cittadini, a una diminuzione dei prezzi delle corse e alla cessazione del mercato delle licenze: tutti vantaggi per gli utenti e i cittadini ai quali corrisponderebbero inevitabilmente riduzioni dei privilegi per i tassisti stessi.
Altro esempio negativo è quello delle ,,: da noi sono state elargite in passato licenze per la gestione di tratti di litorale molto generose per i titolari, con durate ultradecennali e canoni ridicoli. Ora che la legislazione europea ha imposto l’obbligo delle gare di appalto, non si riesce comunque a far rispettare la normativa e si va avanti con continue proroghe e deroghe. Da dove viene questo enorme potere? Possibile che i bagnini controllino pacchetti di voti rilevanti o finanzino a mani basse politici locali e nazionali?
Ma di tute le corporazioni, quella più potente è senza dubbio la magistratura, che può disporre a proprio piacimento delle vite e delle carriere delle persone senza dover rispondere dei propri errori. Il caso di Genova è eclatante: senza entrare nel merito dell’inchiesta, e della colpevolezza o meno degli indagati, è veramente incredibile che la richiesta di arresto del Presidente della Regione del 27 dicembre dello scorso anno sia stata autorizzata dal GIP solo quattro mesi e mezzo dopo, e che senza una preventiva informazione di garanzia (quanto meno non resa nota al pubblico) si sia proceduto direttamente con l’arresto come se ci fosse un reale motivo di urgenza. Strano concetto, questo dell’urgenza che viene gestita in così tanti mesi. Se veramente fosse esistito un pericolo di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove o di fuga all’estero, il buon Toti sarebbe ampiamente uccel di bosco, occultatore di prove o colpevole seriale.
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