I TRE MOSCHETTIERI DEI MERCATI
Nei prossimi mesi i driver di mercato da tenere d’occhio saranno bonds, petrolio e dollaro
Anche il terzo trimestre dell’anno è stato archiviato, e mentre l’estate meteorologica stenta a lasciare la scena regalandoci ancora giornate calde e soleggiate, i mercati sono ormai entrati a pieno titolo nella stagione autunnale. Nonostante la sempre sostenuta volatilità dei listini, alla fine tutto è più o meno andato come doveva andare e le nostre previsioni – come in verità più o meno tutte quelle degli analisti più attenti – sono state rispettate, a parte un certo slittamento temporale che, complici anche i recenti fatti del medioriente, potrebbe portare qualche elemento di novità.
Come nella tradizione, il mese di settembre è stato decisamente negativo per i mercati azionari, in particolare quello USA e quello europeo, mentre un po’ meglio, nel suo piccolo, ha fatto la piccola borsa di Piazza Affari. Tuttavia, se guardiamo i dati di performance da inizio anno, l’indice S&P ha messo a segno un non disprezzabile + 14%, il DAX (azionario Europa) +9% e il nostro FTSE MIB +22%.
Alla fine l’investimento in equity, che rappresenta la parte più consistente delle asset allocation di questo periodo, sta facendo il lavoro che ci aspettavamo, anche se il dato medio complessivo è un po’ sovrastimato per effetto dei risultati decisamente strabilianti dei titoli dell’intelligenza artificiale.
Le obbligazioni hanno cominciato a offrire rendimenti interessanti dopo molti anni di cocenti delusioni: il tasso sui Treasury decennali (l’equivalente USA dei nostri BTP) ha toccato in questi giorni il 5%, sopra il tasso di inflazione e quindi con rendimento reale positivo. Quello dei Bund tedeschi è arrivato al 3%, quando poco più di un anno fa era ancora in territorio negativo. E la corsa non è ancora arrivata alla fine: l’inizio del processo di normalizzazione dei tassi di interesse da parte delle banche centrali è stato rimandato di qualche mese, anche se i mercati – a parte qualche scivolone presto recuperato – continuano ad essere più realisti del re e ad ogni pubblicazione di dati economici meno negativi del previsto, prendono fiducia e virano decisamente al rialzo.
L’investitore razionale deve però procedere con cautela e non lasciarsi influenzare da speranze e desideri, quanto piuttosto da aspettative coerenti. Posto che l’azionario sta procedendo lateralmente – e da qui a fine anno probabilmente continuerà con questo trend – i tre moschettieri del mercato, quelli che determineranno i risultati dei nostri portafogli e che devono quindi essere seguiti con particolare attenzione, sono ora: i bonds, il petrolio e il dollaro.
I bonds, ovvero le obbligazioni, vedranno i rendimenti crescere ancora, specie per le scadenze medio-lunghe, anche se le politiche monetarie delle banche centrali dovessero effettivamente avviare l’atteso percorso di riduzione dei tassi. Queste politiche hanno infatti due strumenti: oltre al livello dei tassi, c’è il controllo della liquidità del sistema, ovvero della quantità di moneta in circolazione. E questa continua a diminuire, in USA al ritmo di 95 miliardi di dollari al mese, attraverso la vendita sul mercato di titoli di stato.
Questo avviene proprio nel momento in cui il Governo sta cercando di collocare quantità di titoli sempre maggiori di debito pubblico (si stimano 2.400 miliardi di dollari di nuove emissioni nei prossimi 12 mesi, oltre a quelli che andranno a scadenza e che dovranno essere rinnovati) e molti dei tradizionali acquirenti, in prima linea i cinesi, hanno già dichiarato di non voler più comprare.
La spesa pubblica in USA continua infatti a crescere a ritmi sostenuti, spinti anche dall’impennata delle spese militari per le guerre in corso, e il deficit dello Stato è passato dal 79% del PIL del 2019 (ante pandemia) al 98% di oggi. E l’Europa non è certo messa meglio.
Tutto ciò concorrerà a deprimere ulteriormente i prezzi dei bond, e parallelamente ad aumentarne i rendimenti. Questo è il motivo per cui abbiamo consigliato di aspettare ad intervenire su questo mercato fino a che i tassi non avranno raggiunto il loro punto di massimo relativo.
L’altro moschettiere è il petrolio: e qui la crisi della guerra di Gaza svolge un ruolo senz’altro propulsivo, che non era atteso, spingendo in alto i prezzi e, prospetticamente, anche i tassi di inflazione. Il prezzo dell’oil è cresciuto in settembre dell’8%, e del 35% dai minimi di giugno scorso.
E anche il dollaro è in aumento sostenuto: sta crescendo da 11 settimane ed è ora al livello massimo dell’anno.
Con le dinamiche di questi tre asset dovremo fare i conti, e soprattutto con l’andamento dell’economia. I segnali non sono incoraggianti: si comincia a sentire qualche scricchiolio sul fronte salariale e la spesa per consumi è in flessione netta da diversi mesi, mentre il credito sta attraversando una fase di restrizione notevole, fra tassi in crescita e aumento dei contenziosi (in particolare, in USA, sui prestiti al consumo e sulle carte di credito).
Risultato di tutto questo, fra l’altro, è che le vendite di case in USA sono diminuite in agosto del 9%, a causa dell’ aumento dei prezzi delle abitazioni (+ 30%) e del costo dei mutui, più che raddoppiato in un anno a causa dell’aumento dei tassi.
In conclusione: l’investimento azionario è tutto sommato tranquillo, chi vuole può azzardare acquisti molto selezionati in stock picking soprattutto nelle fasi di ribasso e alleggerire il portafoglio sui rimbalzi. Per le obbligazioni, mantenere una quota degli asset sulle scadenze brevi (entro l’anno) e aspettare ancora per le scadenze più lunghe. E poi attenzione al petrolio e al dollaro, che potrebbero riservarci delle sorprese interessanti.
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