FACCIAMO IL PUNTO SULLA POLITICA MONETARIA
L’araba fenice dell’equilibrio dei mercati
La teoria classica dell’economia era fondata sul principio secondo cui il mercato era il miglior regolatore e stabilizzatore del sistema capitalista che, neanche a dirlo, era a sua volta il migliore dei mondi possibili. La legge della domanda e dell’offerta, se lasciata libera di funzionare e non ostacolata da improvvidi interventi dell’uomo, provvedeva infatti a eliminare le distorsioni e riportare il sistema in equilibrio.
Si potrebbe discutere se il concetto di equilibrio equivalga a una situazione perfetta, stabile e duratura, oppure a un semplice punto di riferimento teorico che però in natura non esiste, oppure a un breve intervallo transitorio tra due cicli consecutivi. Ma ipotizziamo, per un attimo, che il mitico equilibrio sia vivo e lotti insieme a noi. Cosa deve fare un governo efficiente per puntare all’equilibrio oppure per mantenerlo? Ma, prima ancora, in cosa consiste l’equilibrio?
Sempre secondo la teoria classica, si ha equilibrio quando le aspettative si verificano, la domanda è tutta soddisfatta, non esistono eccessi né carenze di offerta, tutti quelli che cercano lavoro possono trovarlo a un salario soddisfacente e tutti quelli che cercano manodopera possono reperirla senza aumenti di costi. In questi casi i fattori produttivi (terra, lavoro e capitale) sono utilizzati nel modo più efficiente, non esistono risorse inutilizzate e, ça va sans dire, non ci sono tensioni sui prezzi.
Nella Camelot di Smith e Ricardo, se si verifica un turbamento, supponiamo un imprevisto aumento della domanda di qualche bene o un eccesso di offerta di qualche altro, si mette in moto la legge della domanda e dell’offerta che, attraverso il giusto adeguamento dei prezzi, riporta tutto a una situazione perfetta. Affinché questo succeda, però, è necessario che non ci siano distorsioni sul mercato – che deve essere di concorrenza perfetta – e che non ci siano asimmetrie informative, ovvero tutti gli operatori, produttori e consumatori, dispongano di tutte le informazioni necessarie per poter valutare i comportamenti più razionali da adottare.
Se anche in teoria le cose funzionassero in questo modo, è evidente che le ipotesi alla base del modello sono talmente restrittive e lontane dalla realtà che è difficile basare le azioni di governo sui sogni. La dimostrazione arrivò in modo forte e chiaro con la crisi del 1929, che mise tutte le comunità del tempo al tappeto. Era evidente che il mercato da solo non sarebbe bastato a riportare le cose a posto, e qualcosa occorreva fare.
Fu allora che apparve sulla scena John Maynard Keynes, il quale teorizzò che lo Stato avrebbe potuto, e dovuto in quel caso, fare tutto il possibile per rimettere in modo la macchina della produzione e del consumo. Una spintarella e poi la marcia si sarebbe autoalimentata trovando al suo interno la forza di moltiplicarsi e autogenerarsi.
Ma cosa avrebbe dovuto fare in concreto lo Stato? Tutto l’armamentario del “perfetto interventista” costituisce la politica economica, che si divide in politica fiscale, politica di bilancio e politica monetaria. Le prime due sono intuitive: riduzione del carico fiscale (per aumentare il reddito disponibile della gente e favorirne la spesa) e aumento della spesa pubblica (che costituisce parte del reddito nazionale). Vediamo invece in cosa consiste la politica monetaria, e perché rappresenta oggi lo strumento di intervento pubblico non solo più diffuso ma anche più efficace.
La politica monetaria, decisa dalle banche centrali e non dai governi, agisce direttamente sulla quantità di moneta in circolazione e, tramite questa, sui tassi di interesse che hanno influenza e conseguenze sulle decisioni di investimento, consumo e produzione, e quindi sul prodotto interno lordo.
Il primo punto che si deve aver ben chiaro è quello dei soggetti attuatori, che come si è detto non sono organismi elettivi, ma tecnocrati che non devono rispondere a un corpo elettorale. In Europa si tratta della BCE, Banca Centrale Europea, che ha sede a Francoforte ed è amministrata da un direttorio composto da tutti i Governatori delle banche centrali dei paesi membri. Ma siccome non tutti hanno lo stesso peso, i tedeschi vi esercitano un potere maggiore e dato che la Germania ha una fobia storica per l’inflazione, l’obiettivo principale della BCE è rappresentato proprio dalla lotta all’inflazione. Anche nel caso della FED, la Federal Reserve americana, l’azione prioritaria è quella di combattere l’inflazione, ma la sua policy è decisamente più articolata.
Il problema è che per combattere l’inflazione si deve ridurre la quantità di moneta in circolazione (e lo si fa soprattutto vendendo titoli di Stato) e aumentare i tassi di interesse, misure che provocano un rallentamento dell’economia, e – di conseguenza – condizioni negative per le imprese e per i consumatori e, di riflesso, per i mercati finanziari che sicuramente, in questo caso, vedranno prevalere le vendite e i cali dei prezzi dei titoli.
Estremizzando, e neanche poi tanto, possiamo dire che le banche centrali, focalizzate a ridurre il livello dei prezzi, mettono in difficoltà produttori, consumatori, risparmiatori che però – non essendo come si è detto i banchieri centrali sottoposti al voto degli elettori – hanno ben pochi strumenti per opporsi, salvo quelli di fare pressioni sui governi perché, con le loro politiche fiscali o di bilancio, rendano le cose per loro meno difficili.
Ecco spiegata, con un eccesso di semplificazione per cui i super tecnici ci vorranno perdonare, la situazione attuale. L’inflazione è cresciuta oltre misura, le banche centrali la stanno combattendo con politiche monetarie restrittive che rischiano di innescare una vera e propria recessione, i governi cercano di compensare a livello di reddito nazionale con programmi di spesa pubblica espansiva.
Si può discutere – e noi lo stiamo facendo - se sia giusto che una schiera di tecnocrati autoreferenziali sano così potenti da determinare le condizioni di lavoro, produzione, consumo, le fortune di azionisti e speculatori sui mercati finanziari. Ma è bene essere consapevoli di come funziona la cosa, per cercare, almeno come consumatori e risparmiatori, di limitare i danni.
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