PAIN IN THE NECK
La luna di miele col nuovo governo è appena a metà, e già si sentono i primi scricchiolii
Quando si insedia un nuovo governo, il primo periodo – che tradizionalmente si considera della durata di circa 100 giorni – è chiamato “luna di miele” in quanto viene concesso al neo-premier un tempo di adattamento e di rodaggio, durante il quale le critiche sono attenuate e i piccoli errori giustificati. Inoltre si presta in genere volentieri un “bonus” di simpatia a chi non ha esperienza nel ruolo e magari non è ancora conosciuto dal grande pubblico negli aspetti personali, nello stile comunicativo, nelle abitudini di lavoro.
Tutto questo è stato, ed è tuttora, concesso anche al Governo Meloni in Italia, che presenta aspetti di indubbia novità nel nostro panorama politico. Innanzitutto per il fatto che, per la prima volta, abbiamo un premier donna: questo è un aspetto indubbiamente positivo e visto con favore da tutti, dato anche il livello della classe dirigente politica maschile. Non solo: anche per la circostanza che per il partito di Meloni si tratta della prima esperienza di governo, dopo un lungo periodo all’opposizione, condotta in splendido isolamento nella precedente legislatura.
Nel caso di “Fratelli d’Italia” c’è anche un’ulteriore curiosità, dato che si tratta della formazione che ha ereditato esperienza, tradizione politica e spesso anche personale dal Movimento Sociale Italiano, che notoriamente si era accreditato dal dopoguerra come il rifugio dei nostalgici del regime fascista.
Molta acqua è passata da allora sotto i ponti, e l’incontestato successo elettorale del partito di maggioranza legittimano sicuramente la nuova compagine governativa, che accoglie anche (non sempre con unità di intenti) i due partiti di centro-destra che in precedenza facevano parte del governo di larga coalizione.
Inoltre “Fratelli d’Italia” ha avuto negli scorsi anni posizioni sovraniste e anti-europeiste, che sono state giustamente riviste e modificate con l’assunzione della responsabilità di governo. Normale la curiosità di vedere come sarà accolto il nuovo governo dagli alleati storici, in Europa e in Occidente.
Per la verità i primi segnali non sembrano molto incoraggianti, ma su questo torneremo più avanti.
Più o meno a metà della luna di miele di cui si diceva all’inizio, sembra che qualcosa si sia incrinato nel rapporto fra il governo e i suoi molteplici interlocutori. Non si può dire che si tratti – ancora – di veri e propri contrasti, ma sembra di riconoscere in alcuni atteggiamenti della maggioranza una sorta di fastidio, di insofferenza e dispetto per alcune reazioni e commenti. Quello che gli inglesi chiamano pain in the neck, ovvero dolorino nel collo (che in alcune varianti meno eleganti si trasferisce anche in altre parti del corpo). Quello che si potrebbe tradurre con “spina nel fianco”.
Questo atteggiamento è chiaramente leggibile in due incaute affermazioni di esponenti di primo piano del governo. La prima del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che – rispondendo alle critiche della Banca d’Italia sulle misure governative adottate in merito al contante – ha affermato essere l’Istituto di Vigilanza “controllato dalle banche private”, volendo sottintendere che la sua presa di posizione era dettata dalla difesa degli interessi corporativi delle banche stesse. La seconda del Ministro della Difesa Guido Crosetto che è intervenuto contro la politica restrittiva della BCE che, aumentando i tassi di interesse e diminuendo sensibilmente gli acquisti di titoli di Stato italiani, danneggia il nostro paese, costretto a pagare più salati gli interessi sul debito pubblico.
A parte il primo “inciampo”, che possiamo attribuire a inesperienza e incompetenza, perché anche uno studente di ragioneria sa che alle banche azioniste è preclusa ogni possibilità di ingerenza o anche solo di indirizzo nelle decisioni e nelle prese di posizione di Bankitalia, il secondo episodio merita forse una più approfondita riflessione.
In primo luogo perché proviene da un esponente di primo piano del governo, fra i fondatori del partito della Meloni e decisamente molto autorevole, oltretutto non certo abituato a esternazioni frequenti, avendo un background più imprenditoriale che politico.
Ma anche nel merito, la presa di posizione di Crosetto è sicuramente criticabile. Sia perché esprime in pieno quel senso di fastidio di cui si diceva, come se tutti, anche a Francoforte, dovessero rendersi conto che ormai sono loro i nuovi “padroni del vapore” e fossero loro dovuti obbedienza e accondiscendenza.
Peggio ancora: Crosetto non sembra rendersi conto che la policy restrittiva delle autorità monetarie è ampiamente condivisa da tutto il sistema come strumento di lotta all’inflazione che – lo si voglia o no – resta uno degli obiettivi principali della Banca Centrale Europea. Vero è che si tratta di una brusca inversione di tendenza rispetto alla linea a suo tempo introdotta e sostenuta da Draghi quando era governatore della stessa BCE; ed è pure vero che l’attuale numero uno di Francoforte non può essere annoverata fra i simpatizzanti del nostro paese. Ma resta difficile pensare che, a inflazione non ancora domata (anche se siamo sulla buona strada), la BCE possa derogare all’indirizzo di limitare gli acquisti di titoli sul mercato (finalizzati a drenare liquidità dal sistema) per fare un piacere a Meloni & C.
Anche la recente presa di posizione della presidenza di turno svedese dell’UE contro la rapida approvazione del piano migranti voluta da Meloni, non è certamente una mano tesa alla neo-premier.
E qui arriviamo al punto vero di frizione: l’Europa e le istituzioni atlantiche si convinceranno della bontà dell’inversione di atteggiamento meloniano o cercheranno di farle pagare il pregresso anti-europeismo? Per il bene del nostro paese, speriamo vivamente nella prima ipotesi, perché è ovvio che senza Europa l’Italia non va da nessuna parte.
Basti pensare a quale sarebbe il livello dei tassi di interesse (e le conseguenti svalutazioni della moneta, come avveniva in passato con la lira) se fossimo fuori dell’UE e dell’Euro, come molti dell’attuale maggioranza volevano fino a poco tempo fa.
La strada del nuovo governo è lastricata di ostacoli e difficoltà, di cui l’aumento di tassi è forse la principale, tanto da far prevedere un disavanzo per interessi ben maggiore di quanto preventivato a suo tempo dal precedente governo (l’esborso indicato nella legge di bilancio di quest’anno sarà di 270,1 miliardi anziché di 186,1, con un aggravio superiore a 83 miliardi). C’è poi da risolvere il problema dello spoil system[1], che rischia di privare la macchina statale dei dirigenti di prima linea ben difficilmente rimpiazzabili da soggetti “di area” di pari competenza.
Per non parlare dei problemi all’interno della maggioranza, con gli altri partiti che scalpitano per avere più visibilità e potere.
Riuscirà la nostra eroina a vincere, dopo quella elettorale, anche la sfida di governo? Ai posteri l’ardua sentenza.
[1] Per spoil system (traduzione letterale dall'inglese: sistema del bottino) si intende la pratica politica, nata negli Stati Uniti d'America tra il 1820 e il 1865, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo (def. da Wikipedia)
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