GUIDARE NELLA NEBBIA
Cambiando l’orizzonte temporale del portafoglio, cambiano anche le indicazioni di gestione
Quando c’è nebbia fitta radente sulla strada e siamo in automobile, molto spesso non si vede a un palmo di naso: è come andare bendati e non possiamo fare altro che andare molto piano, a meno che non troviamo qualche battistrada al quale accodarci. Ma se siamo alla guida di un camion, con il sedile rialzato rispetto al piano stradale, la visuale appare più libera e si può vedere oltre la coltre. Un po’ come succede di questi tempi con la gestione del portafoglio.
Se ci limitiamo al breve o brevissimo termine, è molto difficile se non impossibile orientarsi; si può solo replicare – sperando che vada bene – quello che fanno i gestori di maggiore e comprovato track record. Molto meglio, in questi casi, tenersi ancorati agli obiettivi strategici per non rischiare di trovarsi fuori strada. Allora, a seconda che abbiamo un obiettivo a 6 mesi, 1 anno o 2 anni, le indicazioni sono molto (talvolta radicalmente) diverse. Vediamo come e, soprattutto, perché.
Occorre preliminarmente ribadire un concetto che i lettori di questo sito troveranno decisamente familiare: nella definizione dell’asset allocation – il processo attraverso il quale si identifica la composizione ottimale per tipologie di strumenti finanziari (asset class) – il primo passo è quello di fissare gli obiettivi.
Cosa vogliamo fare col nostro patrimonio? Guadagnare tanto e rischiare poco, direbbe Monsieur de Lapalisse. Dobbiamo però essere un po’ più precisi e stabilire se vogliamo risparmiare per comprarci una casa, assicurarci una pensione integrativa, tenere a disposizione una somma sufficiente a far fronte a ogni possibile imprevisto, avere un reddito che incrementi le nostre entrate, costituire un capitale per i figli quando saranno grandi, ripagare un debito e così via.
A seconda dell’obiettivo di fondo nella gestione di portafoglio, e in dipendenza di come viene declinato, si individua un orizzonte temporale di riferimento che, normalmente, varia da 1 a 3 anni, ma che potrebbe essere anche di 6 mesi o, in alcuni casi, fino a 5 anni. Con l’ovvia avvertenza che, quanto più ci si allontana dal momento attuale, tanto meno i parametri su cui basiamo la scelta saranno affidabili e si renderà necessario rivedere l’asset allocation a intervalli di almeno 6 mesi/1 anno.
Basta guardarsi indietro di due-tre anni e vediamo un panorama politico, economico e finanziario completamente diverso dall’attuale. Prima di Covid, guerra e interventi vari delle autorità monetarie, eravamo in un mondo senza inflazione, con tassi di interesse a zero o anche negativi, un buon ritmo dello sviluppo economico e produttivo che finalmente era uscito – pressoché ovunque, salvo che da noi – dalla grande e lunga crisi degli anni 2007/2008 e le banche centrali che iniettavano liquidità sul sistema come se non ci fosse un domani.
In America regnava Trump all’insegna di “America first” e dell’amicizia con lo zar Putin; in Italia “Giuseppi” era alla guida di una scombinata coalizione con Lega e movimento 5 stelle, e potremmo continuare.
Ad esempio, chi avesse deciso di investire tutto in titoli di Stato o obbligazioni corporate, avrebbe dilapidato il proprio patrimonio; chi invece si fosse indebitato a tasso fisso avrebbe fatto bingo, tanto più se avesse investito quelle risorse in materie prime o azioni USA. E oggi?
L’inflazione è un (non gradito) ospite, che continuerà tenerci compagnia e che non potremo ignorare; tuttavia, sembra aver raggiunto il picco della crescita, ed è ragionevole attendersi che cominci a rallentare. Attenzione, ciò non vuol dire che i prezzi diminuiranno (ben difficilmente torneremo ai prezzi di soli 12 mesi fa ahimè), ma la loro velocità di crescita tenderà a rallentare. I tassi continueranno a crescere, fino a che la temuta recessione non morderà così tanto da impaurire Fed e compagnia.
Per il momento, diciamo per almeno 6 mesi, l’economia USA – e di riflesso quella europea - vivrà di rendita grazie ai massicci interventi per contrastare la pandemia e ai programmi di spesa pubblica già in cantiere, almeno fino alle elezioni di midterm (ci torneremo dopo). In Europa la situazione è più complessa: è vero che il PNRR manifesterà i suoi effetti espansivi, ma la crisi energetica rallenterà pesantemente lo sviluppo. La Cina e l’Asia, al netto di nuove, sempre possibili, crisi da Covid, riprenderanno a crescere ai ritmi del passato o anche di più.
Il punto di svolta nel breve termine dovrebbero essere le elezioni americane del prossimo 8 novembre, le cosiddette “elezioni di midterm”, in quanto si situano esattamente alla metà del mandato presidenziale. In generale si tratta di un appuntamento molto delicato per l’assetto istituzionale degli USA: viene rinnovato il Congresso e un terzo del Senato[1]; quello che può succedere è che l’inquilino della Casa Bianca perda la maggioranza al Congresso, diventando così un’“anatra zoppa”.
Se questo succede, il programma di Biden, basato su aumento della tassazione e forti interventi di spesa pubblica soprattutto infrastrutturale, verrà pesantemente messo in discussione e un periodo di instabilità sarebbe inevitabile, a maggior ragione se si dovesse intravvedere – dietro le quinte – l’incombente presenza dell’ex presidente Donald Trump.
Se invece – come sembra apparire più probabile dai sondaggi di questi ultimi giorni – Joe Biden e il Partito Democratico riuscissero a tenere, il panorama sarebbe più rassicurante e a questo punto la palla tornerà nelle mani della Fed, la Banca Centrale.
Al momento in cui l’inerzia dello sviluppo verrà ad esaurirsi – come si diceva sopra, intorno alla prossima primavera – è plausibile che la policy antiinflazione e fortemente restrittiva, a base di aumenti di tassi e drenaggio di liquidità (attualmente vengono assorbiti poco meno di 100 miliardi di dollari al mese), sia attenuata. Ben difficile che gli effetti espansivi possano manifestarsi prima dell’autunno dell’anno prossimo, anche se magari i mercati potranno beneficiare degli “effetti annuncio” ed anticipare la ripresa. A quel punto il dollaro sicuramente diminuirà la sua attuale forza, che l’ha portato a superare la parità con l’Euro.
Molto probabile che da qui a 12 mesi la situazione sia decisamente peggiore di oggi, con l’inflazione ai massimi livelli, una recessione conclamata e le autorità monetarie ancora in mezzo al guado. Quindi chi è sintonizzato a un anno dovrebbe puntare a preferire la liquidità, cercando di ridurre l’esposizione azionaria quando i mercati rimbalzano.
Se invece guardiamo a 24 mesi, potremmo trovare una situazione molto migliore, con l’inflazione domata, la recessione superata e magari le autorità monetarie più disposte ad accompagnare la crescita. Chi ha un obiettivo strategico a quella data, può tranquillamente mantenere il portafoglio impiegato senza preoccuparsi troppo (ovviamente parliamo di azionario), contando sulla resilienza del mercato USA e sulla continuazione del trend di lungo periodo di Wall Street.
Tutto questo sempre che guerra e ritorno di fiamma del Coronavirus non ci mettano ancora lo zampino.
[1] Le elezioni di mi metà mandato negli USA (“midterm election”) si tengono due anni dopo quelle presidenziali riguardano l’intero Congresso (i 435 membri della Camera dei Rappresentanti) e un terzo del Senato (33 o 34 seggi su 100), oltre che – quest’anno – 36 governatori su 50 degli Stati federati.
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