OZIANDO SI IMPARA
Torniamo a parlare di ozio creativo con il contributo di un’esperta, Patrizia Stalla
Per questa riflessione vorrei partire dal racconto di un piccolo episodio riferitomi da una mamma durante la mia attività, alcuni anni fa. In sintesi: un fine settimana come tutti gli altri, un venerdì che concludeva una settimana densa di impegni e di attività di vario genere; al rientro a casa il figlio di circa 8 anni, buttando lo zaino a terra, dice: “mamma, per favore, è vero che per due giorni non devo più andare a fare cose?” Da qui abbiamo iniziato a ragionare su ciò che il piccolo stava cercando di dire con tale richiesta e...da cosa nasce cosa…
Abbiamo perso l’abitudine all’ozio, al dolce far niente, siamo da tempo una società basata sul fare, in cui ogni momento deve essere utilizzato per qualche attività produttiva: oziare equivale a perdere tempo. Tutto ciò vale ormai anche per i bambini che hanno “agende” molto ricche e dettagliate, sia scolastiche, sia extrascolastiche: in pratica sperimentano una sorta di lavoro a tempo pieno in anticipo sui tempi. Anche quello che consideriamo tempo libero è molto spesso riempito da attività svolte in “contenitori” organizzati come gli svariati social network di cui disponiamo e che hanno un potere ipnotico che a lungo andare può provocare ansia e difficoltà di concentrazione e memoria.
Dal punto di vista dell’offerta formativa è sicuramente importante l’opportunità di sperimentare nelle arti, negli sport e in molteplici campi culturali ma lo è altrettanto il tempo “vuoto”, inteso come tempo non organizzato e gestito dall’adulto; il tempo della noia che stimola la creatività, che spinge a guardarsi dentro e fuori. Non ci deve preoccupare il cosiddetto tempo vuoto, non dobbiamo temere che sia tempo perso per la crescita, dobbiamo abbandonare l’accezione negativa dell’ozio; ogni bambino ha un istinto naturale alla creatività ed all’indipendenza che la “vigile assenza” di genitori ed educatori durante un tempo non rigidamente strutturato può stimolare.
E allora è utile prevedere spazi e tempi educativi che tengano conto del diritto dei bambini all’ozio: in qualità di adulti (genitori, educatori, società) possiamo e dobbiamo lavorare affinché i bambini tornino ad essere protagonisti del loro tempo, perché abbiano la possibilità di osservare, pensare, sentire, desiderare, creare ed anche fallire e ricostruire in relativa autonomia. Per permettere tutto questo è fondamentale una capacità che funge da prerequisito nell’atteggiamento educativo dell’adulto: fare un passo indietro e rivalutare l’adeguata distanza educativa; non pensare che lasciare ai bimbi del tempo per loro possa significare non fare bene i genitori/educatori o che lasciare loro la possibilità di oziare voglia dire lasciarli soli e, non ultimo, fidarsi delle loro competenze.
Nelle questioni pedagogiche non sempre abbiamo delle risposte definitive, anzi, ben poche risposte valgono una volta per sempre ma un atteggiamento profondamente educativo e costruttivo è sicuramente quello di chi si pone continuamente in ascolto e si fa delle domande. Poche risposte ma moltissime domande. In questo caso ciò che è utile fare è chiedersi spesso se, nella famosa “agenda” settimanale dei nostri bambini, ci siano abbastanza spazi e tempi vuoti, tali da compensare quelli strutturati dall’adulto, se i bimbi abbiano avuto l’opportunità di stare soli tra di loro, se abbiano avuto l’occasione di sperimentare davvero del gioco libero. Stiamo davvero osservando i loro giochi o li stiamo dirigendo?
Spesso l’adulto si trova in difficoltà a gestire la noia e la frustrazione infantili che inevitabilmente si presenteranno nelle prime esperienze di autogestione del tempo vuoto; è difficile non intervenire di fronte ad una richiesta d’aiuto, è più immediato risolvere, riempire o correggere ma è necessario avere fiducia nelle capacità dei nostri bambini di poter superare i momenti di difficoltà con soluzioni personali e creative, di poter tollerare le piccole frustrazioni per prepararsi a quelle più importanti avendo maturato l’idea di potercela fare anche senza l’aiuto costante di un adulto.
Rimanere fermi a guardare invece che agire significa anche avere fiducia in se stessi e nel lavoro educativo svolto, avere la convinzione di aver fornito gli strumenti necessari per trovare in sé le soluzioni e sperimentarle con la possibilità di sbagliare ma anche con l’impagabile opportunità di avere successo.
Nella pratica tutto questo significherà cercare di non eliminare ogni ostacolo ma lasciare che i piccoli trovino una soluzione, che imparino a risolvere i conflitti tra di loro senza intervenire subito, perché è da qui che si possono sviluppare abilità personali, relazionali e di problem solving tanto richieste più tardi nel mondo del lavoro. Trovarsi a sperimentare piccole difficoltà senza l’aiuto immediato di un adulto permette alla mente di diventare più flessibile, sperimentando il sentimento di autoefficacia, fondamentale per la costruzione del sé e della propria autostima.
Se quanto detto riguarda noi adulti nel ruolo di educatori, ci riguarda ancor più in veste di “esempio”, se l’ozio creativo è un valore pedagogico, è chiaro che debba far parte anche di una sorta di autoformazione, di stile di vita.
Non tutto è perduto per chi è cresciuto all’ombra della dicotomia tra la cicala e la formica, miti inconsapevoli della lotta tra il piacere ed il dovere, tra ozio e lavoro e rappresentazione della più moderna produttività ad ogni costo. Certo, l’intento educativo della favola imponeva l’esasperazione dei ruoli e quindi se l’una si limitava ad oziare senza produrre o creare nulla di cui poter beneficiare, l’altra lavorava instancabilmente per la sopravvivenza ma senza godersi minimamente la vita.
L’ozio creativo, così come è stato teorizzato dal sociologo Domenico De Masi, vuole rappresentare una sintesi tra i due poli apparentemente opposti: tra il tempo vuoto dell’ozio ed il tempo iperproduttivo del lavoro ci sono di mezzo la fantasia, l’emotività, la creatività e la gioia. Sarà quindi importante imparare, in primo luogo, a trovare il piacere nel lavoro, anche in piccole occasioni ma, soprattutto, così come vale per i bambini, imparare a vivere il tempo vuoto diversamente, senza sensi di colpa, assaporando la possibilità di fare ciò che amiamo attraverso l’espressione della nostra curiosità e della gioia di vivere.
PATRIZIA STALLA(*)
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Patrizia è una psicopedagogista e la sua esperienza professionale si snoda da circa trent’anni attraverso attività di consulenza e sostegno pedagogico alla persona ed alla famiglia;
Nel servizio sanitario si è sempre occupata di abilitazione e riabilitazione cognitiva ed emotiva nell’ambito del disagio e della disabilità e, nell’ultimo decennio, ha preso parte a progetti inerenti le attività a favore dell’invecchiamento attivo in qualità di memory trainer;
per circa 20 anni ha svolto attività di formazione psico-pedagogica universitaria e post- laurea per personale sanitario presso l’Università degli Studi di Genova.
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