VOLETE NETFLIX O IL DONBASS?
I Russi dovranno affrontare difficoltà impreviste e notevoli, che rischieranno di mettere in ginocchio lo zar
Con questo editoriale sulla “grande madre Russia”, si conclude la nostra miniserie sui protagonisti della scellerata guerra in corso. Non abbiamo in questa sede esaminato l’Ucraina sia perché ne avevamo parlato ampiamente in tempi non sospetti (aprile 2017)1, evidenziando aspetti che purtroppo sono ancora validi, sia perché in questa fase c’è ben poco da dire.
L’Ucraina è vittima della ferocia di un vicino ingombrante, ma anche dell’insipienza e della voglia di visibilità del suo leader e del continuo e consistente flusso di armi e sostegno finanziario da parte di USA ed Europa.
L’altro protagonista di cui non parliamo è la Gran Bretagna, perché il premier pro-tempore Boris Johnson sta cavalcando la tigre della protesta antiputiniana per strappare qualche altro mese di permanenza nella cadrega, anche se la sua sorte politica è meritatamente segnata. Come direbbero gli Americani, un’anatra zoppa. Del resto, con l’uscita dal contesto UE, le prospettive economiche e di politica estera del Regno Unito sono diventate sicuramente meno brillanti e i recenti sviluppi non aiutano i sudditi della regina a recuperare un ruolo autorevole e significativo.
Il vero protagonista (in negativo) è il leader russo Vladimir Putin. Una decisione come quella di invadere il territorio ucraino con truppe meccanizzate e carri armati non può essere giustificata, anche se le motivazioni vengono da lontano (almeno otto anni, da quando è iniziata la repressione ucraina nel Donbass grazie ai mercenari neonazisti ingaggiati dal governo) e va riconosciuto che i numerosi appelli lanciati nel tempo per far cessare le esercitazioni Nato ai confini e per fermare l’evidente escalation militare degli Ucraini – che hanno anche chiesto di entrare nella Nato - sono rimaste inascoltate.
Si tratta ora di vedere, dal punto di vista economico, cosa è successo e cosa succederà alla Federazione russa in seguito alla guerra. È facile constatare che niente di buono arriverà per il gigante ex-sovietico, le cui debolezze strutturali sono risultate evidenti e destinate ad aggravarsi. Anche nel caso in cui vinca sul campo – eventualità tutt’altro che scontata -, Putin dovrà fronteggiare una serie di difficoltà non da poco.
L’unica ricchezza incontestabile di cui dispone è l’energia, sotto forma di gas naturale e di petrolio. Con l’embargo conseguente alle sanzioni, nonostante le titubanze di alcuni europei quali l’Ungheria (ampiamente sovvenzionata dai russi in passato), verrà a mancare il principale cliente: l’Europa. È vero che i cinesi, fino ad un certo punto, potranno sostituire negli acquisti gli Europei, ma lo faranno a costi decisamente più bassi eventualmente pronti a rivenderne le eccedenze (magari a noi a prezzi più alti). Da quanto risulta, sembra che le scorte del Celeste Impero siano già state saturate e del resto la Cina sta scontando una fase di marcato rallentamento produttivo che sta contenendo la domanda.
In questo momento – da un punto di vista strategico - il canale privilegiato di sbocco alternativo per i Russi è quindi l’India, che naturalmente offrirà prezzi ancora più bassi oltre a non essere notoriamente un buon pagatore.
L’altro grande comparto di esportazione sono le materie prime, in primo luogo i cereali e i metalli. Dopo le strozzature dell’offerta dell’anno scorso, la situazione si è ora normalizzata grazie anche alla notevole crescita dei prezzi nel frattempo intervenuta: il mondo si sta cioè attrezzando per superare un’impasse temporanea nelle forniture. Anche in questo caso sarà la Cina a togliere le castagne dal fuoco all’amico Putin, ma naturalmente il suo appoggio non sarà gratis et amore.
La prima cambiale che Pechino metterà (molto presto) all’incasso sarà Taiwan, il maggior produttore mondiale di microchip e semiconduttori, per la quale chiederà carta bianca. In secondo luogo, i cinesi continueranno a estendere il loro dominio sull’Africa (di cui già ora controllano praticamente tutte le vie di comunicazione e le infrastrutture di trasporto) e imporranno l’export di tecnologia a un popolo che ne ha disperato bisogno.
Anche l’industria finanziaria – nella quale i Russi hanno costruito negli anni posizioni importanti un po’ ovunque grazie alle risorse acquisite con la vendita di gas e petrolio – accuserà il colpo pesantemente. L’esclusione dai circuiti di pagamento e il blocco delle disponibilità in valuta detenute all’estero renderanno impossibile per Mosca acquisire tecnologia e prodotti dall’Occidente. È vero che in parte saranno rimpiazzati da quelli cinesi, ma ricostruire una nuova Internet non sarà facile e comporterà costi enormi. È ragionevole prevedere che soprattutto i settori più avanzati della borghesia russa non saranno felici di aver perso i beni di consumo tanto vituperati in pubblico quanto ricercati in privato.
Inoltre, non sarà facile per Putin spiegare ai suoi sudditi la logica di un sostanziale ritorno al medioevo per distruggere un popolo da tutti considerato fratello. La propaganda diventerà sempre più martellante e il controllo autoritario più pervasivo. Soprattutto sarà sempre più difficile per gli oligarchi, oggi tutti ancora vicini allo zar, fare affari in un mondo che ha chiuso loro le sue porte. E purtroppo per loro questa deriva non è reversibile, almeno nei prossimi anni.
L’esercito, il controllo di polizia, l’eliminazione fisica dei nemici non potranno durare all’infinito. Se Putin non riuscirà a negoziare presto e bene un ritiro dalle terre invase, inizierà per lui un periodo molto complicato. Risulta chiaro come la potenza e l’efficienza dell’esercito russo si siano rivelate molto sovrastimate e una situazione di stallo prolungato sarà ben difficilmente sostenibile.
Da un punto di vista economico fare la guerra all’Ucraina e inimicarsi tutto il mondo occidentale è stato un clamoroso autogol per lo zar. Il prezzo che dovrà pagare per disarmare o ridurre alla neutralità il governo di Kiev sarà decisamente elevatissimo.
Se da noi l’alternativa è “libertà o condizionatori” – in assonanza con il “burro o cannoni” di mussoliniana memoria – per i russi la scelta fra Netflix e il Donbass si preannuncia con un vincitore già stabilito.
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