QUI SI PARRÁ LA TUA NOBILITATE
Le parole sono importanti, ma i fatti lo sono ancora di più
I lettori abituali di questo sito, che peraltro stanno crescendo a un ritmo veramente sorprendente, sanno bene che non abbiamo mai nutrito particolare simpatia per l’avvocato degli Italiani, l’ex premier Giuseppe Conte, altrimenti detto Giuseppi. Abbiamo sempre considerato la sua parabola come la dimostrazione che nel nostro paese il dilettantismo molto spesso paga, che è un po’ la storia del Movimento 5 stelle nel suo complesso, e delle sue insolite modalità di selezionare la classe dirigente.
Come quelli venuti giù con la piena, anche il Nostro probabilmente verrà spazzato via dalla prossima tornata elettorale, che si prospetta molto problematica per i grillini. Una cosa è cavalcare il malcontento diffuso e gestire i vaffa day, ben altra cosa governare e dover prendere decisioni necessarie ma spesso impopolari.
Vero è che Conte si è trovato a fronteggiare una situazione inedita – a livello mondiale - e tragica come l’epidemia da coronavirus, e che chiunque, almeno in prima battuta, ne sarebbe stato impreparato e spiazzato. Ha fatto il possibile, cercando di barcamenarsi alla guida di una coalizione eterogenea e ad assetto variabile (prima gialloverde, poi giallorossa), tenuta insieme - più che da visioni strategiche o ideali politici, ormai desueti – dall’attaccamento alla cadrega e dalla gestione del potere. Un giochino che inevitabilmente appassiona chi vi si cimenta e che procura una certa assuefazione.
Pensiamo però a cosa sarebbe potuto succedere al nostro paese se nei momenti clou della pandemia e, soprattutto, con una guerra in corso alle porte di casa che rischia di estendersi alle grandi potenze del pianeta, non ci fosse stato Draghi al timone e avessimo dovuto avere a che fare con populisti, sovranisti e simili. Non osiamo immaginare come si sarebbe potuta trovare l’Italia cacciata ai margini dell’Europa in un momento come questo, e circondata da scetticismo e diffidenza.
Neanche comprendiamo bene quale sia il meccanismo che ha portato Conte prima a ricoprire un ruolo di grande prestigio come quello di Presidente del Consiglio, poi ad assumere – in virtù di uno statuto ancora sub judice – la stessa leadership del movimento. Nessuno lo ha eletto, non ha mai partecipato a una competizione elettorale neanche da consigliere comunale, i consensi ottenuti in rete dagli iscritti del partito, presentati come eclatanti, sono in realtà ben poca cosa se rapportati al numero degli effettivi sostenitori. La sua è stata una nomina decisa direttamente dai leader veri del M5S, con una modalità che è quella tipica della selezione di un manager e non della competizione politica.
E tuttavia dobbiamo riconoscere che la sua levata di scudi contro l’incremento a bilancio degli stanziamenti per le spese militari ci è piaciuta. Impiegare risorse ingenti per gli armamenti non è una cosa buona, molto meglio sarebbe in effetti poter utilizzare quel denaro per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, consolidare una ripresa economica che sembra sempre più allontanarsi, alleviare il peso dei rincari che ora cominciano davvero a mordere. A maggior ragione quando non si parla di difesa in senso stretto del suolo nazionale (salvo che non si ritenga probabile o anche solo possibile una minaccia di invasione da parte della Russia), ma di contribuire a rafforzare la Nato, un’organizzazione che certo ha qualche responsabilità – pur non essendone il principale colpevole – dell’escalation bellica a cui stiamo assistendo.
Non è in discussione ovviamente la scelta di campo che ci colloca stabilmente e convintamente nella compagine atlantica, quanto piuttosto, in termini relativi, una diversa opzione che potrebbe essere quella di concentrare nelle mani dell’Unione Europea le leve della difesa dei confini e degli assetti territoriali. Ci piacerebbe che non fosse la Nato, ma piuttosto l’Europa a decidere politica estera, difesa e strategia militare. E che quindi le relative risorse provenissero dall’Europa, e non dagli stati aderenti alla Nato visto che gli USA sono decisi a disimpegnarsi sul piano economico, ma non certo su quello del controllo.
E comunque, piaccia o no, la posizione di Giuseppi questa volta ha una sua ragion d’essere, e deve averla sostenuta con una certa decisione se il premier si è sentito in obbligo di “salire le scale del Colle” per manifestare la sua preoccupazione sulla tenuta della maggioranza al Presidente Mattarella.
Come avrebbe detto il sommo poeta, parafrasando il II canto dell’Inferno – quando Virgilio gli illustra la sua missione – “Qui si parrà la tua nobilitate”, volendo significare che in questa difficile circostanza si vedrà il tuo reale valore alla prova dei fatti.
È pressoché certo che verrà posta la questione di fiducia sull’emendamento della finanziaria che aumenta il budget per la difesa: a questo punto che farà Giuseppi? Resterà coerente con la sua posizione pacifista facendo cadere il governo, oppure tornerà sui suoi passi della serie: ”abbiamo scherzato”?
Qui la suprema dimostrazione del dilettantismo: in una maggioranza di governo, tanto più in momenti delicati come questo, è lecito discutere di tutto partendo anche da posizioni distanti, ma se si decide di non rompere, la realpolitik (come insegnavano i mai troppo rimpianti, su questo aspetto, democristiani) vorrebbe che una volta presa una decisione, poi siamo tutti allineati e coperti.
La politica implica la ricerca di una soluzione di sintesi (magari invece di aumentare le spese militari del 2%, negoziando si poteva ottenere un incremento minore) o, nei casi in cui questo non è possibile, la rottura. Ma i proclami urlati, non seguiti dai fatti, sono non solo inutili, ma dannosi. Il bla-bla-bla (citando l’ormai scomparsa Greta Thurnberg, una prece) non serve a niente, fa solo perdere tempo ed energie.
Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e anche sulla guerra è giusto che venga pronunciata alta e forte la condanna della deriva bellica, tanto più quando tale condanna proviene da fonte autorevole, forse la più autorevole che esista, quella da oltre Tevere. Tuttavia, anche in questo caso, verrebbe da pensare che alle parole si dovrebbero far seguire i fatti: sospettiamo che se ad esempio ci fosse stato Karol Wojtyla, probabilmente – anche contro il parere e i divieti di consiglieri e guardie del corpo – sarebbe già volato a Leopoli o a Kiev.
Forse anche per questo la stampa internazionale ha insinuato con una certa insistenza che la maggiore preoccupazione del Vaticano fosse la salvaguardia del rapporto costruito con Mosca e con il Patriarca Kirill negli ultimi dieci anni, anche per tutelare la minoranza cattolica in Russia. E che quindi fosse meglio limitarsi a fare annunci e pregare.
A pensare male, diceva uno che in politica ebbe molta fortuna, si fa peccato ma ci si azzecca.
- Per commentare o rispondere, Accedi o registrati