ABC dell'economia: L'inflazione
La storia della moneta è interessante e accompagna molti aspetti cruciali della storia dell’umanità. Molti fenomeni di impatto sociale anche notevole sono stati infatti originati dalla moneta: crisi di liquidità, grandi inflazioni, crolli di istituzioni emittenti.
Uno dei fenomeni tipicamente legati alla moneta è quello dell’inflazione, su cui è bene spendere qualche parola. Il termine deriva dal latino inflare, che significa gonfiare, soffiare. In effetti si ha inflazione quando i prezzi si gonfiano, ovvero aumentano in maniera generalizzata e senza alcun riferimento con un aumento del valore dei beni e servizi.
Ogni mercato è caratterizzato da variazioni di prezzi, in corrispondenza – come abbiamo detto più volte – di spostamenti della domanda e dell’offerta. Normalmente però si tratta di oscillazioni sia un senso che nell’altro, talvolta cicliche (ad esempio nel caso dei prodotti agricoli che presentano stagionalità) e, soprattutto, indipendenti dagli altri mercati.
Se ad esempio i gusti dei consumatori si spostano dalla carne al pesce, aumenterà la domanda di pesce e diminuirà quella della carne, determinando – a parità di altri fattori – un aumento del prezzo del pesce e una diminuzione di quello della carne.
Ma se entrambi i livelli dei prezzi aumentano ed aumentano anche quelli del gasolio, del grano, del ferro, del caffè, del costo del lavoro e così via, siamo evidentemente di fronte a un fenomeno ben diverso.
Rilevare il fenomeno dell’inflazione è tutto sommato facile: basta l’osservazione empirica e la statistica. Ben più difficile individuarne le cause: eccesso di liquidità, costi, rapporti con l’estero.
Si ha eccesso di liquidità quando la moneta in circolazione cresce molto mentre la quantità di beni e servizi acquistabili resta invariata o, meglio, cresce di meno. Un caso limite estremizzato può rendere meglio l’idea: in un sistema chiuso in cui il numero di beni prodotti è fisso ogni giorno e partendo da un prezzo di equilibrio, se in un determinato momento viene immessa una quantità di moneta uguale a quella già esistente, si può scommettere che i prezzi di quei beni tendenzialmente raddoppieranno.
In generale, a parità di altre condizioni, una politica monetaria espansiva (ovvero caratterizzata da un consistente aumento della quantità di moneta in circolazione, come vedremo più diffusamente nel prossimo articolo) favorisce l’aumento dell’inflazione.
Il caso più frequente di inflazione è tuttavia quello da costi. Ad esempio la grande inflazione degli anni ’70 del secolo scorso venne originata da un aumento improvviso e molto intenso del prezzo del petrolio, in un mondo fortemente dipendente da esso quale unica fonte energetica. I produttori dell’”oro nero”, rendendosi conto dell’enorme potere che avevano, decisero con accordi di cartello (attraverso l’OPEC, Organizzazione dei paesi produttori ed esportatori di petrolio) di imporre notevolissimi aumenti di prezzo che determinarono, in via generalizzata, un pari aumento dei costi di produzione.
Le organizzazioni sindacali, a quell’epoca molto forti, riuscirono a negoziare aumenti salariali che consentirono ai lavoratori di mantenere inalterato il loro potere d’acquisto e così i costi di produzione di beni e servizi aumentarono ancora, in un circolo vizioso che portò l’inflazione oltre il 20% in Italia.
Anche se i prezzi reali, ovvero quelli “depurati” dell’effetto dell’inflazione, rimanevano tutto sommato costanti, tuttavia gli effetti redistributivi dell’inflazione furono notevoli.
Tipicamente l’erosione del valore della moneta avvantaggia infatti i debitori, il cui debito è denominato in termini monetari e quindi – salvo il caso che il tasso di interesse non sia tale da recuperare l’inflazione – il suo valore reale viene abbattuto. E’ quello che successe ai molti che in quel periodo avevano contratto mutui a tasso fisso per comprare la casa: nel giro di pochi anni il peso del mutuo si ridusse molto, mentre il valore degli immobili aumentò: essi dunque si trovarono la casa nel patrimonio con un esborso reale molto contenuto.
Non a caso, nella storia, le grandi inflazioni sono servite agli Stati molto indebitati per rientrare in modo sostanziale del loro debito attraverso un ridimensionamento del valore reale.
Al contrario, coloro che detengono attività finanziarie (titoli, depositi, crediti) verranno penalizzati dall’inflazione. Cresce infatti tipicamente, in questi periodi, la domanda dei cosiddetti “beni rifugio”, ovvero metalli preziosi, ma anche immobili, che si ritiene mantengano il loro valore anche in tempo di inflazione.
L’inflazione è quindi tutt’altro che neutrale, anche se può sembrare una semplice modifica dell’unità di misura. Come abbiamo visto ha un effetto redistributivo della ricchezza importante trasferendola dai creditori ai debitori, un effetto di modifica delle scelte di investimento (portando a favorire beni in grado di mantenere il valore reale), ma soprattutto induce un cambiamento di prospettiva e modifica i rapporti di forza.
In periodi di inflazione molto accentuata, può verificarsi infatti un “effetto ricchezza” che porta a ritenere erroneamente di essere più ricchi perché si possiede più moneta. In realtà quello che conta è il potere d’acquisto, ovvero la quantità di beni e servizi che si possono acquistare con il denaro a disposizione. Inoltre la precarietà finanziaria percepita (la sensazione che il valore del nostro denaro si dissolva) induce ad accelerare i consumi a danno del risparmio.
Perché mettere da parte 100 Euro oggi se fra un anno varranno meno? Bisogna ammettere che la spinta al carpe diem, in epoche di alta inflazione, è ragionevole.
L’anticipo dei consumi e l’effetto ricchezza sopra accennati portano ad un aumento di domanda di beni e servizi che determina una crescita del reddito, reale oltre che monetario. Per questo si dice che una certa aliquota (non superiore al 2%) di inflazione è tutto sommato salutare per l’economia e ci si preoccupa quando invece siamo in presenza di prolungata deflazione.
Infine si verifica la modifica dei rapporti di forza: non in tutti i settori i prezzi aumentano con la stessa velocità e non tutte le categorie economiche subiscono in modo uniforme gli effetti dell’inflazione. Come l’esperienza diretta insegna, alcuni se ne avvantaggiano e altri ne risultano danneggiati.
Aveva dunque ragione Lester Thurow nel saggio del 1980 “La società a somma zero” dove affermava che, se ai guadagni di qualcuno corrispondono perdite di altri, alla fine la somma non cambia, affermazione per la verità non sempre corretta, anche se il semplice effetto redistribuivo è comunque un aspetto rilevante da non trascurare.
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