Euro e dintorni
Nel precedente articolo abbiamo parlato del confronto fra libero mercato e protezionismo, oggi affrontiamo un tema che, pur diverso, si può considerare molto collegato e vicino al precedente: l’introduzione dell’Euro é stata un fattore positivo per l’Italia oppure si stava meglio quando si stava peggio?
Il collegamento sta nella radice ideologica della posizione a favore del protezionismo, nella quale si può ritrovare molta consonanza con coloro che criticano non solo la moneta unica, ma anche la stessa permanenza italiana nell’Unione Europea. In entrambi casi si preferirebbe una società chiusa nei suoi confini, tendenzialmente impermeabile a qualunque forma di influenza economica dall’esterno.
Si sarebbe infatti verificata, a detta di questi, la perdita o meglio la rinuncia di parte della sovranità nazionale in favore di entità esterne, siano esse le autorità monetarie dell’Unione Europea o il libero mercato.
LE LEVE DELLA POLITICA ECONOMICA
Per quanto riguarda l’Euro, è opportuno ricordare che dal trattato di Maastricht in poi e con l’introduzione della moneta unica, due delle tre leve tradizionali di politica economica (gli strumenti attraverso i quali un governo può incidere sull’economia di un paese) non sono più in mani italiane: la politica di bilancio e la politica monetaria. In teoria resta direttamente attivabile la sola politica fiscale, ultimo baluardo di autonomia dei diversi paesi UE.
Lasciando da parte la politica di bilancio, per la quale giustamente l’Italia sta cercando di recuperare margini di flessibilità che consentano almeno di escludere gli investimenti dal computo della spesa pubblica, e anche la politica fiscale in qualche modo ad essa collegata, effettivamente con l’Euro lo strumento monetario non appartiene più ai singoli paesi ma alla BCE a Francoforte.
Intanto va detto che l’organo decisionale è il board dei governatori, cui partecipano con pari diritti tutti i governatori delle banche centrali nazionali. E’ vero però che il peso specifico dei paesi più grandi, in primo luogo Germania e Francia, è ben superiore a quello dei paesi minori o più deboli, fra i quali c’è anche l’Italia. Nel nostro caso la minore forza nazionale è più che compensata dalla nazionalità e dal carisma del presidente, Mario Draghi.
COSA SAREBBE SUCCESSO SENZA L’EURO
E’ molto difficile, se non impossibile, dire cosa sarebbe successo se nel 2001 anziché aderire alla moneta unica, il nostro paese avesse mantenuto la lira, come fecero il Regno Unito e l’Ungheria. Alcune cose però si possono senz’altro affermare.
La prima è l’impossibilità di importare inflazione attraverso svalutazioni competitive della moneta, come accadde nel nostro paese negli anni ’70.
Per sostenere l’economia, la lira veniva periodicamente svalutata rispetto alle altre monete, in primo luogo dollaro, sterlina e franco svizzero. In tal modo gli esportatori potevano offrire i loro beni all’estero a un prezzo inferiore e il prodotto nazionale cresceva. D’altra parte, i beni e servizi importati e pagati in valuta pregiata costavano di più e siccome parte dei costi di produzione (tipicamente i costi di energia e di trasporto, dipendenti dal petrolio) aumentavano immediatamente in seguito alla svalutazione, i prezzi stessi tendevano a salire, meccanismo al tempo moltiplicato dall’esistenza della scala mobile sui salari, che li adeguava automaticamente al costo della vita. Veniva così innescato un circolo vizioso che solo con molta difficoltà e in tempi lunghi si riuscì a interrompere.
Quello sommariamente descritto è il meccanismo di inflazione da costi, ma l’aspetto negativo non si limitava a questo. Chiunque investisse in lire, incorporava nei tassi che richiedeva per offrire il proprio denaro l’aspettativa delle successive svalutazioni, così che i tassi di interesse crescevano, e infatti ci siamo trovati con tassi anche oltre il 20%.
E’ vero che tassi del genere riducevano nel tempo il valore reale dei debiti, cosa che avvantaggiava in primo luogo lo Stato per il costo degli interessi sul debito pubblico, ma anche i privati che si erano indebitati.
Chi comprò la casa in quegli anni contraendo un mutuo fece un ottimo affare, nonostante gli alti tassi di interesse, perché il valore reale del debito si riduceva e il valore reale dell’immobile, considerato come reale riserva di valore, aumentava. Le rate dei mutui, col passare del tempo, pesavano sempre meno e il “valore del mattone” cresceva.
Ma si trattava di gioie effimere: a lungo andare l’inflazione troppo alta corrode e destabilizza i sistemi economici e prepara spesso la strada a derive autoritarie, come è successo in molti paesi dell’America Latina e come rischia di succedere proprio in Ungheria. Gli effetti negativi sono aumentati quando all’inflazione si accompagna la stagnazione economica, ovvero quando il prodotto lordo reale non aumenta, come successe appunto in Italia, ma non solo, con il fenomeno della “stagflazione”.
Tornando al problema iniziale, possiamo sicuramente affermare che l’Euro ha evitato che si ripetesse un fenomeno del genere. Ma per l’Italia, cronicamente afflitta da elevato debito pubblico, il rischio sarebbe stato ben peggiore. Infatti non potendo ripagare il debito, la sopravvivenza dipende dalla possibilità di collocare i titoli del debito pubblico (BOT, BTP, CCT) fra i risparmiatori e fra gli investitori. Se una moneta è considerata troppo debole, nessuno la compra e se il debito non viene ricollocato, l’esito finale non può che essere il default, come abbiamo visto accadere in molte situazioni.
Si può ragionevolmente affermare, quindi, che l’Euro abbia evitato al nostro paese una molto probabile situazione di crisi finanziaria, che avrebbe potuto portare al fallimento dello Stato.
In prima approssimazione, ma è un tema che sarà approfondito nei prossimi articoli, ritengo che la soluzione di rinunciare all’Euro, a suo tempo, poteva essere una buona soluzione se fossimo stati un paese autosufficiente sia in termini di beni e servizi che di capitali, e se la Pubblica Amministrazione non fosse gravata da un debito pubblico ingente da rifinanziare continuamente. Un po’ come nel caso del protezionismo, la soluzione autonomistica o autarchica funziona solo se siamo totalmente autosufficienti e non abbiamo bisogno di ricorrere ai mercati esteri.
Resta da vedere, ma qualche risposta già possiamo intuirla, cosa potrebbe comportare a questo punto uscire dall’Euro, in termini di costi e probabili benefici. Sarà il tema del prossimo articolo.
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