RI - DRAGATION
L’azione di governo di Meloni si muove nell’ambito dell’agenda Draghi
Tre anni fa su questo sito[1] plaudivamo al nuovo corso della politica italiana sotto l’egida del più autorevole personaggio che il nostro paese abbia espresso nel nuovo millennio, l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi, prima che la stupidità dei pentastellati – in parte anche dei forzitalioti al tempo – ponesse fine all’esperimento del suo Governo.
Parlavamo di un nuovo rinascimento, suggellato dalla vittoria della nazionale di calcio di Roberto Mancini ai campionati europei, i cui capisaldi erano: la sconfitta del terribile morbo e il superamento della pandemia, il recupero dell’economia, una riforma della giustizia che finalmente faceva piazza pulita del giustizialismo di Conte e sodali e del “fine processo mai”. Ma soprattutto sulla posizione di assoluta preminenza, grazie all’indiscussa autorevolezza del nostro premier, sulla scena internazionale, dove il nostro paese si accingeva a ricoprire una sostanziale leadership.
Con l’avvento della nuova destra, si insediava a Palazzo Chigi Giorgia Meloni, alla guida di un Governo non più tecnico ma politico, con il forte sostegno dell’elettorato. Le posizioni sovraniste e sostanzialmente antieuropee, allora fortemente condivise con la Lega, l’ostilità verso gli immigrati, il passato mai rinnegato (fino ad allora) da neofascista, un certo filo-putinismo strisciante e la totale mancanza di esperienza in quel ruolo, giustificavano forti perplessità e timori.
E invece.
Non che si sia rivelata una statista epocale o un fenomeno, ma la ragazza ha mostrato intelligenza e buon senso ed è riuscita, almeno in parte, a fugare i timori iniziali. La scelta di base, a quasi due anni di distanza dall’insediamento, si è rivelata quella di riprendere in mano e seguire la famosa “agenda Draghi”, che sta riuscendo a realizzare in molti casi anche meglio dell’originale, grazie al forte grip che ha mantenuto e consolidato sulla sua maggioranza, aiutata anche – va detto – dalla pochezza e miseria intellettuale e politica dei circondanti. In questo, Super Mario era stato purtroppo zavorrato dalla presenza dei pentastellati, autori dei più imbarazzanti misfatti politici degli ultimi decenni, dal superbonus al reddito di cittadinanza.
Nonostante fosse l’unica dell’attuale coalizione a essere all’opposizione quando Draghi regnava, alla fine è quella che più convintamente ne porta avanti gli obiettivi. Si era capito fin dall’inizio, in realtà, che avrebbe avuto un rapporto costruttivo con l’ex premier, il quale – da parte sua – non aveva mai nascosto di stimare molto più lei che non diversi alleati di Governo.
Se andiamo a vedere nel dettaglio, molti sono i punti dell’agenda che la Giorgia nazionale ha continuato a perseguire. L’unico aspetto che la vede – finora – in difficoltà è il ruolo internazionale, ma certo non è facile mantenere il livello di un gigante come Super Mario. In Europa le fanno pesare atteggiamenti e posizioni del passato, negli Stati Uniti l’esibito appoggio a Trump ha creato qualche imbarazzo con Biden, spesso si è trovata isolata sulle scelte importanti (quali la riconferma di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione).
Ma per tutto il resto, chapeau. Intanto le privatizzazioni, spina dolente di tutti i governi precedenti. Possiamo affermare che l’annosa vicenda Ita-Alitalia è finalmente stata risolta coinvolgendo Lufthansa, come neanche Draghi era riuscito a fare per l’opposizione dei suoi colonnelli, che invece facevano il tifo per Air France. E su TIM ha ripreso in mano il dossier della vendita della rete a KKR, alleggerendo notevolmente la zavorra dei debiti. È appena il caso di ricordare che, da privata cittadina capo dell’opposizione, Meloni aveva espresso orientamento per mantenere l’italianìtà della ex compagnia di bandiera e addirittura per nazionalizzare Telecom.
Non parliamo, per carità, di voltafaccia, né di fulminazione sulla via di Damasco, ma certamente si tratta di una bella rivoluzione copernicana, dettata da buon senso e pragmatismo. Certo, l’esperienza di Giorgetti (una conferma dalla precedente squadra di Governo) ha aiutato non poco, ma la premier ci ha certamente messo del suo.
Resta da vedere, sempre in tema di privatizzazioni, cosa ne sarà del Monte dei Paschi di Siena, ma questa è un’altra storia.
Sul dossier “immigrazione”, Meloni si è mossa nello stesso alveo della politica a suo tempo portata avanti da Draghi, con il ministro Lamorgese. In effetti il Patto sui migranti del 2023 è una semplice riedizione di quanto fatto allora, nonostante che a quel tempo Fratelli d’Itali fosse nettamente contraria e vi si opponesse fieramente.
Idem per quanto riguarda gli sgravi delle accise sulla benzina, che Draghi aveva già fortemente ridimensionato e poi eliminato (anche qui con l’opposizione di Meloni) e che il nuovo Governo ha tolto del tutto.
Sulla posizione nazionale in politica estera, la premier ha decisamente virato di centottanta gradi e la sua fedeltà alla causa ucraina, così come il ritrovato atlantismo, non è ormai più in discussione.
Per non parlare dei manager della squadra di Draghi che ove possibile sono stati in gran parte confermati: di Giorgetti abbiamo detto, ma potremmo citare Roberto Cingolani, ex ministro di Super Mario e ora Presidente di Leonardo; Matteo Del Fante riconfermato a Poste Italiane, come pure Claudio Descalzi in Eni ed Ernesto Ruffini all’Agenzia delle Entrate.
Insomma, Mario Draghi ha fatto scuola e bisogna dire che l’allieva si è comportata degnamente e in alcuni casi ha anche superato il maestro.
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