SE LA LOCOMOTIVA ARRANCA
L’aggiornamento delle previsioni economiche da parte della Commissione UE preannuncia un buco nei conti pubblici dell’Italia di
La recente pubblicazione del consueto aggiornamento delle previsioni economiche da parte della Commissione UE, passata praticamente inosservata sui media nazionali (e fra qualche riga capiremo il perché) è una lettura di notevole interesse. Nonostante l’innegabile aridità dei numeri sciorinati dal Commissario per gli affari economici e monetari Paolo Gentiloni e l’argomento non certo appassionante, emergono alcune informazioni che ci aiutano a capire se l’Europa e il nostro Paese stanno procedendo come a suo tempo previsto oppure no.
In questo caso si tratta di previsioni, o meglio di aggiornamento delle precedenti previsioni, e quindi come tali vanno prese con le dovute cautele; tuttavia, su quelle previsioni si erano basate la Nadef (la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza) e la successiva legge di bilancio. Si tratta quindi di numeri che influenzano direttamente la politica fiscale e la spesa pubblica per l’anno successivo, ovvero quello in corso.
Per il 2023, dunque, la Commissione ritiene che la crescita del Prodotto Interno Lordo reale (ovvero depurata dell’effetto dell’inflazione) per l’Europa si sia attestata allo 0,6%, poco sotto la precedente stima che indicava lo 0,7%. Il problema non è tanto il leggero scostamento, quanto la distanza davvero notevole che ci separa dal dato USA, circa il triplo del nostro. E nel 2024 tale crescita si fermerà allo 0,8%: sempre troppo poco rispetto ai concorrenti.
La causa di questa modesta performance è da ricercarsi, una volta tanto, nella Germania il cui PIL è previsto aumentare di un misero 0,3% nel 2024, dopo la recessione conclamata dell’anno scorso, collocandosi all’ultimo posto in classifica fra i paesi UE (l’Italia è sestultima). Solo nel 2025, con la tangibile ripresa degli investimenti, Germania e Italia dovrebbero segnare +1,2%, restando però fanalini di coda, mentre la media dovrebbe attestarsi all’1,7%.
Perché la Germania sta performando così male? In primo luogo, ha risentito più degli altri del blocco dei flussi commerciali con la Russia, il cui mercato rappresentava il maggiore sbocco per le esportazioni; inoltre, si è fatta sentire la perdurante crisi cinese e, da ultimo, le difficoltà dei transiti da Suez dovuta agli attacchi terroristici degli Houthi sostenuti dall’Iran. A tenere ulteriormente il freno tirato ha contribuito anche la politica fiscale che continua a essere molto penalizzante, in quanto primariamente orientata a mantenere i conti pubblici in ordine, piuttosto che a favorire la spesa con benefici effetti sul reddito.
Il panorama per quanto riguarda l’inflazione è sicuramente migliore, pur evidenziando ancora una significativa distanza sia dall’obiettivo dichiarato del 2%, sia dal dato USA in contenimento molto più marcato. In dettaglio: la crescita dei prezzi del 2023 è prevista al 6,3% per l’Europa e al 5,1% per l’Italia; per l’anno in corso rispettivamente al 3% e al 2%; per il 2025 2,5% e 2,3%. Per gli Stati Uniti la progressione è invece: 3,1%, 2,4% e 2,1%.
L’aumento per l’Italia del 2025 è dovuto a una ripresa degli investimenti, che dopo la stasi dell’anno scorso e la debolezza per quello in corso, dovrebbe finalmente portare una crescita della domanda, e quindi del reddito, ma anche un incremento dei salari.
In sintesi, il percorso di rientro oltreoceano porterà sicuramente la FED ad attenuare il rigore finora seguito nella politica monetaria; si attendono infatti 3 o 4 riduzioni dei tassi di interesse da 0,25% l’una e un graduale ridimensionamento del drenaggio di liquidità che la banca centrale sta perseguendo da un anno a questa parte. Questo consentirà al PIL USA di crescere tranquillamente ben oltre quello europeo e ai mercati finanziari di continuare la loro marcia mantenendosi sui livelli massimi (naturalmente stiamo parlando di trend, il che non esclude che possano verificarsi cadute anche importanti dei listini). Tutte cose che l’Europa non potrà permettersi.
Non solo: nell’anno elettorale il governo USA potrà continuare indisturbato la politica di bilancio espansiva, che in realtà non si è mai fermata neanche nei momenti di inflazione più preoccupante.
In Europa, invece, la situazione sarà più complessa e più diversificata. Intanto ci saranno paesi che cresceranno molto più della media, con inflazione sotto controllo (Spagna, Irlanda, ma anche Grecia e Portogallo) e altri che arrancheranno, come l’Italia e la Germania. Ma la situazione più preoccupante sarà proprio, sorprendentemente, quella dell’economia tedesca, che fino ad ora ha sempre trainato verso la crescita l’Unione.
Un vecchio proverbio diceva che la velocità del convoglio dipende da quella del suo vagone più lento; nel nostro caso invece la locomotiva che arranca frena la corsa di tutto il treno.
E per l’Italia? Le notizie non sono, ahimè, molto rassicuranti. La rivista previsione di crescita del PIL 2024 allo 0,7%, rispetto alla precedente – sempre da parte dell’UE – che indicava lo 0,9% e, ancor di più, rispetto a quella posta alla base del Nadef che era dell’1,2%, indica un peggioramento tendenziale netto dei conti pubblici di circa 10 miliardi di Euro. Forse non sufficienti per rendere necessaria una manovra-bis in estate, ma certo fonte di preoccupazione per la prossima legge di bilancio, già gravata dall’onere in trascinamento del superbonus e dai tassi di interesse ancora eccessivamente alti, che fanno crescere l’esborso per gli interessi sul debito pubblico, mentre – come abbiamo visto – nel 2025 l’inflazione per il nostro Paese è prevista in (sia pur frazionale) aumento.
Ecco perché di questo aggiornamento delle previsioni UE da noi non si sente tanto parlare, quando invece ogni piccola notizia che riguardi l’attività del Governo, degli incontri e dei viaggi della premier, viene (forse anche giustamente) dispensata con dovizia di particolari e ogni dato positivo viene enfatizzato oltre misura. Nell’imminenza di elezioni europee, forse non decisive ma senza dubbio importanti, meglio non favorire negli elettori sentimenti negativi nei confronti della leadership.
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