I TASSI A FINE CORSA
Tutto lascia pensare che la corsa dei tassi sia arrivata a capolinea
Nonostante le aspettative dei mercati e gli scongiuri di chi paventava una nuova recessione, le banche centrali di entrambe le sponde dell’Atlantico hanno proseguito imperterrite lungo la strada del rigore e hanno deciso un ulteriore aumento dei tassi di interesse di un altro quarto di punto.
Tuttavia, esistono fondati e ragionevoli motivi per ritenere che la corsa di questi graziosi ma dispettosi “animaletti” sia ormai arrivata all’ultima fermata. È vero che l’inflazione non è ancora debellata ed è ben lontana dall’obiettivo dichiarato del 2%, anche se, più negli Stati Uniti che in Europa, è stata ampiamente ridimensionata sia dalle politiche monetarie restrittive sia dal sensibile calo dei prodotti energetici di questi mesi.
Tuttavia, le crisi bancarie di questo 2023, pur essendo state per ora gestite in modo da evitare pericolosi effetti domino, hanno dimostrato che la turbolenza dei mercati mette i sistemi creditizi a forte rischio. Silicon Valley Bank, Signature Bank, First Republic Bank, per non parlare della “madre di tutte le crisi” di questi anni ’20, quella del Credit Suisse, sono andate in default proprio a causa dell’impennata dei tassi di interesse dell’ultimo anno, che ha demolito il valore dei portafogli obbligazionari degli istituti ed evidenziato falle paurose nei loro patrimoni.
Non solo: dopo mesi in cui le economie dei paesi occidentali hanno tutto sommato ben reagito agli scossoni della pandemia prima e del conflitto russo-ucraino dopo, si cominciano ad avvertire i primi segnali che la tanto temuta recessione si sta avvicinando pericolosamente. L’inversione della curva dei tassi[1], il tasso di disoccupazione che comincia ad elevarsi dal livello fisiologico cosiddetto “frizionale” e l’aumento dei sussidi, sono tutti elementi che non possono essere trascurati. E anche la persistente instabilità dei mercati, innescata e sostenuta dalla rigida politica monetaria delle autorità, certamente non è uno scenario augurabile.
Tutti questi elementi inducono gli analisti a prevedere che i banchieri centrali, sempre più artefici delle gioie e dei dolori degli investitori, difficilmente avranno il coraggio di alzare ancora i tassi: possiamo quindi prevedere, da questo punto di vista, una sostanziale stabilità dei tassi di interesse nei prossimi mesi.
Vediamo allora cosa può fare il risparmiatore razionale per evitare conseguenze negative sul proprio patrimonio e, anzi, cercare di massimizzarne la performance. In primo luogo, è importante mantenere – o recuperare - una prospettiva di lungo termine nella gestione del patrimonio, concentrandosi sulla costruzione di un portafoglio diversificato e bilanciato che sia in linea con gli obiettivi a lungo termine e mantenendo una strategia di investimento coerente.
In altri termini, se le recenti vicende dei mercati finanziari hanno indotto (in chiave difensiva o di opportunismo tattico) il nostro investitore a mantenere un profilo liquido e fortemente sbilanciato sull’azionario, è ora tempo di tornare e magari rivedere la propria asset allocation strategica e ribilanciare il portafoglio. L'obiettivo è riportare il mix di asset al livello target iniziale, che potrebbe essere stato alterato a causa delle fluttuazioni dei mercati. Questo consentirà di mantenere un portafoglio equilibrato e coerente con i gli obiettivi di investimento.
Venendo a indicazioni più pratiche, è ora consigliabile esplorare opportunità di reddito fisso, ad esempio prendendo in considerazione l'acquisto di obbligazioni corporate di alta qualità o obbligazioni emesse da stati sovrani solidi, come pure aumentare l'esposizione in asset ad alto rendimento, (azioni di società che distribuiscono dividendi consistenti) o titoli cosiddetti high yeld (ad elevato ritorno).
In un contesto di tassi di interesse stabili, si può anche valutare l'espansione dell'allocazione verso asset che offrono potenziale di crescita a lungo termine, come l'investimento in azioni di società dei settori innovativi o emergenti, o in fondi comuni di investimento o ETF focalizzati su questi settori.
I mesi che ci aspettano saranno molto probabilmente meno volatili di quelli che abbiamo alle spalle e sarà ben difficile realizzare guadagni importanti con l’azionario, che sicuramente soffrirà per il rallentamento della produzione e del reddito. D’altra parte, anche il rischio di subire perdite per improvvisi crolli dovrebbe essere meno pressante, a parte la probabile delusione per la mancata riduzione dei tassi a settembre, sulla quale gli operatori sembrano puntare molto. Peccato che le banche centrali, invece, non siano dello stesso avviso.
[1] L’inversione della curva dei tassi si ha quando i tassi a lunga scadenza si mantengono per un certo periodo inferiori a quelli a breve, invertendo così l’ordine fisiologico in cui il fattore tempo – aumentando il rischio – ha una valenza positiva. Quando si verifica questa inversione, l’esperienza empirica ci dice che siamo vicini alla recessione poiché gli operatori ritengono che le banche centrali dovranno nel prossimo futuro ridurre i tassi per rilanciare l’economia in depressione.
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