LA FIERA DELLE VANITÁ

LA FIERA DELLE VANITÁ

Mer, 07/13/2022 - 11:14
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Prosegue la valutazione dei leader politici sotto il profilo della capacità manageriale

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Proseguiamo, come promesso, la nostra analisi sulla leadership dell’attuale classe politica italiana, non dal punto di vista di ideologie e programmi ma della capacità manageriale dei vertici. Abbiamo visto nello scorso articolo due tipologie estreme di leader politico: quella dello stratega illuminato e quella più simile al capo azienda focalizzato sui risultati.

 

In realtà la funzione tipica del manager è sempre quella concreta di chi ha il pieno controllo della macchina organizzativa, come dimostra l’etimologia della parola, che deriva dal ruolo del managér, colui che manovrava i macchinari nei mulini emiliani. Si tratta quindi di un ruolo tipicamente operativo, di chi ha materialmente “le mani in pasta”.

.mulini

In molte circostanze la capacità di studio ed elaborazione ideologica è importante, soprattutto quando si tratta di definire le strategie e i programmi a lungo termine di un partito, ma normalmente, in politica come nella gestione di un’azienda, la sola attitudine teorica non è sufficiente. Quando si tratta di guidare un’organizzazione quale un partito o, al massimo livello, di una squadra di governo, è importante la capacità organizzativa e decisionale che può derivare solo da un’esperienza sul campo, come nel caso di Mario Draghi, ma anche di Matteo Renzi, come vedremo sotto.

 

Per questo, in genere, le performance di governo degli studiosi (giuristi, docenti universitari e simili) difficilmente si rivelano brillanti: anche il caso di Mario Monti, chiamato a gestire il momento di crisi politica conseguente alla caduta del Governo Berlusconi, fu tutto sommato deludente, come pure l’esperienza delle coalizioni a guida 5 stelle presiedute dall’avvocato degli Italiani Giuseppe Conte.

 

Fra i leader dell’attualità, un personaggio di calibro essenzialmente teorico è Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, che non a caso insegnava all’Università in Francia, prima di essere chiamato a guidare il maggior partito della sinistra italiana. Nel suo caso, una capacità distintiva è inoltre quella di saper trovare i punti di mediazione e di compromesso, cercando di evitare gli scontri frontali, che potremmo considerare tipica del modo di fare politica dei vecchi democristiani: Letta proviene infatti dalla Margherita, una delle derivazioni della DC dopo la sua dissoluzione.

 

La sua attitudine “cardinalizia” di sapersi muovere con passo felpato negli ambienti politici può essere anche un’eredità genetica, derivata dallo zio, Gianni Letta, a suo tempo potente e stimato consigliere di Silvio Berlusconi, nonché suo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

.democrazia cristiana

Se ai tempi della Democrazia Cristiana questa tipologia di leader politico aveva successo (pensiamo ad Andreotti, De Mita, Forlani), oggi è però insufficiente, come dimostrano i risultati del governo guidato da Letta e il declino del Partito Democratico, per la verità già abbondantemente avviato quando Letta ha assunto la carica di segretario. Come attenuante possiamo citare l’estrema instabilità e litigiosità della coalizione di maggioranza, e la breve durata del suo governo, spazzato via dal rampante Matteo Renzi. Tuttavia, ben difficilmente il pisano potrà essere colui che porta il suo partito fuori dalla crisi politica in cui si trova e che potrebbe guidare un governo funzionale e deciso.

 

Il suo successore a Palazzo Chigi, Matteo Renzi da Pontassieve, pur provenendo dalla stessa matrice democristiana, è di personalità e formazione ben diversa. Certamente non possiede la raffinatezza teorica o di elaborazione di Letta, ma è molto più capace di leggere e gestire le fasi operative e di guidare una macchina organizzativa, come ha dimostrato di saper fare al Comune di Firenze, dove è stato sindaco per lunghi anni. La sua carriera politica è iniziata molto presto: è stato il più giovane presidente di amministrazione provinciale in Italia e vi arrivò direttamente dal ruolo di segretario cittadino della DC fiorentina. Non ha il passo felpato del curiale, ma l’irruenza, la determinazione e la mancanza di scrupoli di chi non fa mistero della propria ambizione. Travolge chiunque si metta di traverso sulla sua strada. La sua parabola politica è costituita da alti e bassi e questo non è certo un gran momento per lui, ma è sicuro che avrà ancora molto da dire sulla scena politica del paese.

.puffi

L’altro Matteo, Salvini, ha avuto invece un percorso completamente diverso. Astro nascente della Lega, ha portato il suo partito a un notevole successo elettorale tanto da diventare baricentro della coalizione di centro destra. Abile comunicatore, soprattutto attraverso l’uso dei social network, ha puntato i suoi programmi sul contenimento dell’immigrazione e sul malcontento delle classi medie, prevalentemente nelle regioni settentrionali ma con buona penetrazione – a differenza del suo predecessore Umberto Bossi – anche al sud.

 

Il culmine della carriera politica è stato nel 2018 quando, in seguito al brillante risultato elettorale, concorre a determinare la maggioranza di governo con il Movimento 5 stelle e, con premier Giuseppe Conte, diventa Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio. Da quel momento, però, i consensi iniziano a diminuire e la parabola discendente sembra subire una forte accelerazione in seguito all’uscita dal suo staff del responsabile della comunicazione Luca Morisi, in seguito a un’indagine da cui venne in seguito scagionato, almeno sotto il profilo penale.

.comunicazione

Le fasi critiche della pandemia e della guerra russo-ucraina sono state gestite da Salvini in ruoli di governo ma in modo ondivago e incerto: nel primo caso scontando – almeno nella fase iniziale del covid – una certa vicinanza con i no-vax, nel secondo pagando lo stretto rapporto con Putin e la Russia, dalla quale la Lega è fortemente sospettata di aver preso consistenti somme di denaro.

 

Oggi la sensazione è che Salvini sia in netta difficoltà, sia nei sondaggi che all’interno del suo partito, dimostrando di non avere il pieno controllo della macchina organizzativa. La sua leadership è stata originata più dall’immagine e dalla popolarità che non dalla capacità manageriale in senso stretto, forse anche a causa di una mancanza di esperienza in ruoli di guida operativa. A soli 20 anni ha iniziato la carriera politica come consigliere comunale, e da allora ha sempre avuto prevalentemente esperienze politiche e non gestionali.

.meloni

In grande ascesa, invece, l’altro leader del centro destra, Giorgia Meloni, che molti prevedono destinata ad assumere un ruolo primario di governo dopo le elezioni dell’anno prossimo, per le quali il suo partito, Fratelli d’Italia, è visto come probabile vincitore. Sicuramente in tempi difficili paga più essere all’opposizione che non al governo, come insegna l’esperienza di Salvini e la stessa vicenda del Movimento 5 Stelle, ma Meloni possiede comunque fermezza di intenti e forte controllo delle leve del partito. E inoltre, nel panorama politico italiano, è sicuramente la donna con maggiore visibilità e leadership.

 

Essendo stata il ministro più giovane nella storia della Repubblica (a soli 31 anni, nel 2008, era Ministro per la Gioventù nel governo Berlusconi IV), non sarebbe una sorpresa se diventasse la prima premier donna. Non sarebbe facile succedere a un calibro come Mario Draghi, ma non è detto che non si riveli all’altezza del ruolo. In fin dei conti le sue capacità manageriali in un contesto operativo di responsabilità importante di governo devono ancora essere testate.