In carrozza! Scelta dei singoli titoli e timing
Concludiamo la carrellata sull’investimento azionario con l’ultima fase, in ordine logico e cronologico, del processo decisionale ed attuativo del nostro investitore.
Riepilogando: nella fase dell’asset allocation abbiamo individuato la componente di portafoglio da impiegare in titoli azionari.
Successivamente abbiamo valutato quale o quali settori produttivi ed aree geografiche privilegiare, grazie alle informazioni che abbiamo raccolto ed alla valutazione dei consigli di esperti, analisti e consulenti. Poi abbiamo scelto la tipologia di strumento: quote di fondi o ETF da una parte (se preferiamo delegare la gestione a professionisti specializzati o a algoritmi statistici) oppure singoli titoli azionari dall’altra.
Nel primo caso il processo di investimento è praticamente terminato: non resta che seguire l’andamento dei prodotti acquistati, tenendosi pronti a fare qualche cambiamento o fine tuning (così si chiama in gergo la “sincronzzazione”, ovvero l’adattamento attraverso piccole modifiche fino ad arrivare a una situazione ideale) in corso d’opera.
Se invece siamo amanti del rischio ed abbiamo deciso di cimentarci nel cherry picking, non resta che entrare in pista e dare avvio alle danze, sperando di scegliere le ciliegie migliori, ovvero di indovinare i titoli che potranno darci le maggiori soddisfazioni.
Nel caso di quest’ultimo approccio “autarchico”, la prima cosa da fare è calcolare il numero di stakes, ovvero di lotti, da comprare. Questo dipende naturalmente dell’entità delle risorse a disposizione per l’investimento azionario e dalla dimensione del singolo stake. Se ad esempio abbiamo deciso di riservare a questa categoria di strumenti 100.000 Euro e vogliamo avere lotti della grandezza di circa 10.000 Euro l’uno, potremmo inserire in portafoglio non più di 10 lotti.
La dimensione del singolo lotto (size) è un concetto importante e va tenuta in debita considerazione. Se vogliamo tenere un profilo prudente e privilegiare una certa diversificazione del nostro portafoglio, dovremo avere singoli lotti piuttosto contenuti. Se invece abbiamo buona fiducia nelle nostre scelte e preferiamo concentrare l’esposizione su pochi titoli, in modo da massimizzare l’effetto positivo in caso di successo, ci orienteremo su stakes relativamente più consistenti.
Va anche considerato il lotto minimo di investimento che ciascun titolo prevede: alcuni titoli possono essere negoziati solo in pacchetti di dimensioni ben precise o multipli di essi. Ad esempio, se un titolo prevede un lotto minimo di 3.000 azioni, non potremmo avere pacchetti di 1.000 o 2.000 titoli, ma solo di 3.000, 6.000, 9.000 e così via.
Una buona soluzione è quella intermedia, che ci consenta di avere una certa diversificazione ma anche di fare singoli investimenti significativi, al di sotto dei quali anche aumenti consistenti dei corsi di borsa porterebbero benefici trascurabili. Come avrebbe detto Shakespeare, “much ado for nothing”. Il taglio giusto del singolo investimento, a nostro avviso, è di 10.000, 20.000 o 50.000 Euro, a seconda della dimensione del nostro portafoglio complessivo.
Ad esempio, se abbiamo un portafoglio di 500.000 Euro e la nostra asset allocation prevede per le azioni un impiego del 20% del totale, ovvero di 100.000 Euro, un taglio giusto del singolo lotto potrebbe essere di 10.000 Euro. Con un portafoglio da 2 milioni, la size potrebbe essere di 50.000 Euro; con livelli intermedi potremmo ragionevolmente attestarci sui 20.000.
Una volta definito il numero di lotti da comprare, nel nostro primo caso 5, dobbiamo costruire la cosiddetta watchlist, ovvero la lista di osservazione. Una buona watchlist contiene un numero di titoli da monitorare di almeno 3 o 4 volte i lotti da acquistare. Nel nostro caso, con 5 stakes da comprare, l’elenco potrebbe comprendere una ventina di titoli.
Potremmo, a mero titolo esemplificativo, orientarci sul settore tecnologico, farmaceutico, dell’energia, di alcune materie prime e trascurare le telecomunicazioni, i finanziari, i trasporti, la distribuzione retail e così via.
Oppure potremmo privilegiare l’azionario Italia, quello europeo e quello di alcuni paesi emergenti rispetto all’azionario USA e quello di altri paesi in via di sviluppo.
Una volta effettuate queste scelte primarie, è necessario valutare in quali singole società investire. Per questo è indispensabile avere informazioni sul loro andamento economico attuale e più ancora prospettico e indirizzare la scelta verso quelle realtà che reputiamo capaci di conseguire buoni profitti e di far aumentare nel tempo il loro valore.
Ancora una volta è importante considerare i fondamentali dell’economia e quindi reperire report, analisi, studi, articoli di stampa, che possano aiutarci in questo percorso conoscitivo.
A questo punto costruire la watchlist è facile: basta poter disporre di un comune foglio elettronico (spreadsheet) che si può trovare anche gratuitamente su internet, ma molto spesso già in dotazione ai pc, tablet o smartphone o – per i lettori più refrattari alla tecnologia – va benissimo anche un semplice quaderno con fogli a quadretti e magari una calcolatrice a portata di mano.
Per ogni titolo appartenente al settore (o ai settori) e all’area geografica scelti, occorre annotare alcune informazioni di base, in forma sintetica, facilmente reperibili sia sulla stampa specializzata che su internet.
Normalmente il periodo di osservazione comprende l’ultimo esercizio chiuso (nel nostro caso in questo momento il 2017) e quello in corso. Gli elementi di giudizio più significativi sono: la capitalizzazione di borsa[1], il fatturato, l’utile per azione, il dividendo per azione e alcuni indici che sintetizzano l’andamento di borsa, tipicamente la performance del titolo azionario nei mesi precedenti. Tutti questi dati sono riportati su quotidiani e periodici economici (Il Sole 24 ore, Milano Finanza e simili), sulle pagine dei loro siti WEB dedicate alle quotazioni azionarie e in modo più completo e dettagliato sulle piattaforme delle agenzie di informazione finanziaria (Reuters, Bloomberg) che però sono a pagamento.
Il più importante di questi è il rapporto fra prezzo e utili (il cosiddetto indice P/E), che esprime il numero di anni in cui l’utile aziendale ripaga il prezzo pagato per acquistare l’azione.
In genere si ritiene che un P/E ottimale per entrare sia quello compreso fra 10 e 20, mentre valori superiori rendono il titolo decisamente ipervalutato. Vero è che in periodi di borsa tonica, come l’attuale, ci si può trovare a comprare anche un titolo con rapporto 30 o superiore, contando che il trend continui a salire: molti analisti consigliano infatti di “seguire” il trend, ovvero di cavalcare l’onda. Si deve essere comunque consapevoli di aver pagato un prezzo molto alto.
Un altro indice interessante, soprattutto per i titoli appartenenti al settore finanziario ma non solo, è il rapporto fra patrimonio netto e prezzo del titolo, che esprime la misura del contenuto “patrimoniale” del valore di un’azienda. Più è basso, maggiore è la componente immateriale del valore del titolo.
A questo punto occorre mettere i titoli della lista in ordine decrescente di preferenza, partendo da quello che ci piace di più. I primi cinque titoli della lista sono ovviamente quelli che rappresentano il nostro target di investimento.
Supponendo di avere individuato n azioni del settore e dell’area geografica che ci interessa, il prospetto potrebbe avere una configurazione del genere:
Market cap | Fatt. | Utile per azione 2017 | Utile p.az.previsto 2018 | Dividendo es. in corso | Dividendo previsto | Perform. 3 mesi | Perform.6 mesi |
P/E |
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AZIONE X | |||||||||
AZIONE Y | |||||||||
……… | |||||||||
AZIONE N |
Quanto al timing, una volta individuato il titolo giusto e il P/E corretto, dobbiamo esaminarne con attenzione l’andamento nel recente passato (all’incirca negli ultimi 6-12 mesi). Meglio preferire titoli che sono rimasti stabili o addirittura si sono deprezzati e stare alla larga da quelli con progressione e tassi di crescita elevati. E per entrare, meglio aspettare il momento di una correzione (diminuzione di qualche punto percentuale) e mai comprare ai massimi.
In altre parole, comprare quando il mercato scende per poter poi vendere quando invece sale. Che è l’esatto contrario di quanto fanno gli investitori poco accorti (il cosiddetto parco buoi) che comprano sull’onda dell’entusiasmo quando il mercato continua a crescere e vendono travolti dalla paura quando scende a rotta di collo.
[1] Per capitalizzazione di borsa (market cap) si intende il valore che la borsa attribuisce alla società, calcolato moltiplicando il corso o prezzo della sua azione per il numero di azioni emesse
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